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«Lettere di un maestro e di un giovane poeta»: Il carteggio Betocchi-Raboni edito per Interlinea

02 Dicembre 2024
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«Gentile signor Betocchi, 
in questi giorni […] mi sono ricordato molte volte delle cose buone e vere che Lei mi ha detto. […] A Roma niente mi ha deluso, ma tutto mi ha stancato e quasi mortificato […]. La ringrazio di avermi dato, in quel momento, misura e dunque conforto. Lei solo mi è parso veramente sincero fra tanti che un po’ mentivano e un po’ deliravano. Mi permetterà di scriverLe ogni tanto?».  

Queste le parole di ringraziamento che Giovanni Raboni rivolse a Carlo Betocchi il 7 maggio 1953. I due poeti si erano incontrati per la prima volta a Roma nel mese di aprile in occasione del conferimento a Raboni di un premio letterario per un concorso organizzato dall’associazione “Incontri di gioventù” nella cui giuria figurava – oltre a Giuseppe Ungaretti, Attilio Bertolucci, Adriano Grande, Enrico Falqui – anche Betocchi. Il poeta milanese si era presentato in concorso con l’opera Gesta Romanorum[1]. Raboni era a quel tempo un giovane «timido e spaesato»[2] di appena vent’anni, non troppo a suo agio in una circostanza come quella della premiazione. Possiamo quindi immaginare il conforto da lui provato nel ricevere il saluto amichevole di Betocchi: «Tu devi essere Raboni»[3]. Da quel momento prese avvio una consuetudine umana ed epistolare che si protrarrà per ventinove anni, fino al maggio 1982: consuetudine di cui Benedetta Ziglioli mostra oggi i caratteri e i dettagli con profondità di analisi nella sua curatela del carteggio Le cose buone e vere, fresco di stampa per le edizioni Interlinea.

Un carteggio nato, si potrebbe dire, sotto il segno della benevolenza. Al tempo dell’inizio della corrispondenza Betocchi era uno scrittore già notevolmente affermato che ebbe la capacità di riconoscere colui che sarà un punto di riferimento per la poesia del secondo Novecento. Le conversazioni tra Betocchi e Raboni ruotavano soprattutto intorno al tema “poesia”: il poeta toscano si poneva nei confronti del poeta milanese come una guida, desiderava essere aggiornato sulla sua produzione letteraria, diventandone quindi critico e consigliere, oltre che in qualche modo “orientatore” del percorso poetico. Betocchi mirava a che Raboni non si abbandonasse a una sterile imitazione dei suoi maestri, giacché un’emulazione troppo esibita poteva condurre al soffocamento della «primigenia e personale voce del poeta»[4]. Si trattava di un consiglio quanto mai aderente alla poetica betocchiana, secondo la quale, senza l’espressione autentica di sé, «non possa esserci poesia»[5]

A distanza di anni sarà lo stesso Raboni a riconoscere il ruolo e l’importanza che Betocchi ebbe per la sua formazione e non solo: «è stato il primo poeta che ho conosciuto ed è stato l’unico maestro che io abbia veramente avuto. S’era preso a cuore il mio lavoro, e mi ha seguito con una generosità, con una pazienza, con una intelligenza, con una severità veramente meravigliosa. Io conservo le lettere di Betocchi e mi piacerebbe che un giorno venissero pubblicate, perché sarebbe una sorta di “Lettere a un giovane poeta”, per ricordare un titolo famoso, di inestimabile qualità umana, intellettuale e critica»[6]

Con il passare degli anni, come emerge dalla lettura del carteggio, anche Raboni diventa “critico” dell’opera betocchiana attraverso la formulazione di giudizi, osservazioni e riflessioni. Tanto che quando nel giugno del 1956 venne pubblicato su “La Fiera Letteraria” l’articolo Poeta difficile – testo critico in cui Raboni esalta la capacità di Betocchi di autodefinirsi poeta clandestino, ovvero di non riconoscersi in una precisa corrente letteraria – il poeta toscano intravide in Raboni una sorta di erede designato in grado di proseguire l’opera critica sulla propria poetica intrapresa da Carlo Bo.   

Se la fisionomia di questo carteggio si muove soprattutto attraverso la connotazione del rapporto “magistero-discepolanza” da un lato, e di “lettura critica” dall’altro, nella corrispondenza non mancano anche riferimenti a vicende e figure familiari che incasellano dunque il carteggio anche nel genere del diario di vita privata e domestica, ma non solo. Il tipo di legame autentico e sincero instauratosi tra i due interlocutori permette a Betocchi di confrontarsi con Raboni su un tema estremamente personale e complesso come la “crisi religiosa” che il poeta toscano affrontò nei suoi ultimi anni di vita. Non mancano poi i riferimenti alla realtà storica di quegli anni: come ad esempio la tragedia del Vajont e l’alluvione di Firenze, ma anche resoconti di viaggi e di letture, commenti sul cinema e sul mondo dell’editoria. Un carteggio dunque che restituisce un ritratto sfaccettato della vita e dell’operato condiviso dei due autori, tra i poeti più significativi che hanno attraversato il Novecento.

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  1. Nel volume è inserita in Appendice la redazione originaria dell’opera Gesta Romanorum inviata per il premio.
  2. C. Betocchi, G. Raboni, Le cose buone e vere, lettere di un maestro e di un giovane poeta (1953-1982), a cura di Benedetta Ziglioli, Interlinea, 2024, p. VII.
  3. Ibidem.
  4. Ivi, p. XIII.
  5. Ibidem.
  6. Ivi, p. VIII.