Una geografia sentimentale che si trasforma in testo, melodia, armonia, canto, un po’ come fanno i bambini quando giocano all’alchimista. Posti salvati, in cui mi sono dato e conosciuto. Alcuni di questi sono cambiati, soprattutto a Milano; i colori, le voci e i rumori del mondo che passa contengono storie diverse, e anche la grana delle pellicole. Così è venuta l’idea di un almanacco fatto di istantanee, un album in cui ritrovare colori, luci e paesaggi di quei momenti in cui c’è qualcosa che chiama, e bisogna andare.

Queste parole di Claudio Sanfilippo, cantautore e scrittore con all’attivo una decina di dischi – tra cui Stile libero, vincitore della Targa Tenco nel 1996 e la cui omonima canzone fu interpretata da Mina nell’album Lochness – sono forse la migliore introduzione a quel mondo itinerante di parole e musica che l’autore stesso racconta con vivida naturalezza in Un armadio di canzoni, pubblicato per le edizioni Interlinea con una presentazione di Gino Cervi. Un reportage in presa diretta che illumina i lati notturni e nascosti di una metropoli in continua trasformazione, un armadio di canzoni «di quelli con due belle ante grandi a battente e dentro lo spazio comodo dove appendere le musiche buone e calde per l’inverno» in cui perdersi inseguendo il racconto non lineare di storie, testi, canzoni e incontri: l’officina creativa di Sanfilippo.
C’è un’aria della memoria – per citare un illuminante titolo di Franco Loi – che soffia attraverso le pagine di questo originale libro di viaggi, in cui i ricordi riemergono con la stessa forza e immediatezza di una canzone suonata dal vivo: «Piccoli vortici d’aria dal deflettore della Renault 4. Da piazza Gramsci a Città Studi la città è deserta. Il censimento 1981 dice che quelli come me, che abitano a Milano, sono un milione e seicentomila, ma alle due di notte dormono tutti: un piede nella Milano da bere e l’altro negli anni di piombo». Ed è sempre grazie a Stile libero, ci racconta ancora Sanfilippo, che avvenne l’incontro con Filippo Davoli di Macerata – poeta e cultore musicale di Mina – che a sua volta gli fece conoscere il poeta Franco Loi: «Mi ha fatto scoprire la limpidezza della nostra lingua e mi ha fatto incontrare Franco Loi, amato poeta con cui ho avuto il privilegio di condividere alcune serate indimenticabili». Sia Davoli che Sanfilippo sono infatti presenti nel Fondo Loi, quest’ultimo col volume abbinato a cd-rom Claudio Sanfilippo: cant’autore che contiene La lüs di Franco Loi da lui musicata.
Il cantautore milanese, recentemente ospite in Università Cattolica insieme all’attore e poeta Davide Ferrari per uno spettacolo teatrale di musica e poesia dedicato ai maestri di Franco Loi, ci conduce ora in una Milano quasi scomparsa di tram e osterie notturne, nel cuore dei navigli dove qualcosa di folle e imprevisto può ancora oltrepassare il velo di un tranquillo pomeriggio di fine inverno:
Qualche carrello della spesa che rientra a casa, un tipo con la ventiquattrore, mamme e bambini, il solito traffico. Il signore dall’aria elegantemente trasandata sembra camminare su un confine che non è di tutti e non tutti notano. Inizia a levarsi la giacca, con calma disfa il nodo alla cravatta, si toglie camicia e canottiera. Poi slaccia la cintura, via anche pantaloni, calze e scarpe. Tutto piegato e appoggiato sul corrimano di pietra, in ordine […]. L’oste gli ha preparato quattro stracci per asciugarsi, si riveste che è ancora mezzo bagnato. Intanto è quasi buio, il sabato pomeriggio è un acquarello virato seppia.
Camminiamo insieme a Sanfilippo attraverso i quartieri di Milano, Porta Venezia, Lambrate, l’Ortica e il Casoretto, facciamo tappa in un terrazzino alla periferia est di Milano dove i ricordi paterni prendono vita sulle corde di una chitarra classica baritono: «Il libretto di lavoro di mio padre sa di cedro e di castagne / e cacao e brace di vulcano in riva al mare / il libretto di lavoro di mio padre ha l’inchiostro e la matita / la mano è una farfalla nella strada». Ma il viaggio di Sanfilippo non si limita al nostro Paese e punta dritto oltreoceano, fino alla californiana Berkeley dove si respira un’incredibile aria di libertà e di folk, oppure a Madrid davanti alla finestra spalancata di un quadro di Dalì: «Il quadro ha la forma di uno stato d’animo, la ragazza ondeggia tra gli azzurri e i blu, è malinconica oppure serena, vorrebbe uscire e innamorarsi, o ha solo voglia di contemplare. Qui l’emozione la scegli tu, al contrario di Guernica […]. La canzone è già lì, nella cartolina».
Che si tratti di Milano o della Corsica, di isole adriatiche o siciliane, lo sguardo del poeta-cantautore è sempre lì ad accompagnarci nella «geografia sentimentale» della sua stanza, a bordo di un treno che riparte nel silenzio delle campagne o con «il vento che spinge le parole» sopra una barca che solca il Mediterraneo. Perché, come ci ricorda Sanfilippo in questo suo arcipelago di suggestioni, «scrivere è ricordare tutto quello che non avremmo mai saputo se non avessimo scritto», aprire gli occhi della memoria per raccontare esperienze «come ritrovamenti di coscienza».