I benefici effetti che l’atto di camminare ha per la psiche, oltre che per il corpo, sono ormai universalmente noti, tanto che non è azzardato parlare di un valore terapeutico del cammino. A questa dimensione si affiancano però altri elementi di non minore significato: «Perdere tempo a camminare appare come un atto anacronistico in un mondo dominato dalla fretta […] il camminare rappresenta uno scarto, uno sberleffo alla modernità. È qualcosa che intralcia il ritmo sfrenato della nostra vita, un modo pacifico di prendere le distanze» (David Le Breton, Il mondo a piedi. Elogio della marcia, trad. it. Milano 2001). Andare a piedi come pacifico grido di libertà e serena affermazione di non conformismo e amore per la lentezza: non a caso si parla addirittura di una “filosofia del camminare”. In aggiunta esiste naturalmente anche un aspetto spirituale del cammino, la cui importanza non è affatto secondaria: per secoli l’atto di camminare, nel pellegrinaggio, è stato pensato come strettamente legato all’esperienza del sacro. Pensiamo ai pellegrini del Medioevo, allo scrittore Charles Péguy (1873-1914) in cammino verso Chartres, senza dimenticare chi, ancora oggi, intraprende la via di Santiago di Compostela o di Roma: i piedi in movimento possono portare l’uomo verso il divino e la conversione del cuore.

Il resoconto del cammino attraverso la Francia dello scrittore e viaggiatore Sylvain Tesson (Parigi 1972), apparso nel 2016 col titolo Sur les chemins noirs e in Italia due anni dopo come Sentieri neri, riprende a suo modo tutte le implicazioni sopra accennate, raccontando un’impresa che, per quanto costellata da difficoltà materiali di ogni genere e continui riferimenti alla fisicità, non ha nulla a che vedere con lo sport o il trekking, ma è prima di tutto un itinerario di guarigione, un percorso interiore e una riflessione sulla Francia rurale e sulla società contemporanea. All’origine del viaggio attraverso la Francia, da sud-est a nord-ovest, dalle montagne del Mercantour, nel Midi, fino alla penisola del Cotentin, in Normandia, vi è un drammatico episodio biografico: una sera d’estate del 2014, completamente ubriaco, Tesson cade da un tetto, da un’altezza di circa otto metri. Lo schianto al suolo è devastante e comporta un grave trauma cranico e numerose fratture alle vertebre e alle costole. L’incidente poteva provocare anche la morte o la paralisi, ma lo scrittore si salva e i medici gli prospettano, al termine di una lunga convalescenza, un periodo in un centro di riabilitazione. Tesson scarta risolutamente questa ipotesi e decide invece di partire per un viaggio a piedi che, almeno così auspica, gli avrebbe restituito la salute del corpo e della mente; un viaggio su quelli che chiamano appunto i “sentieri neri”: «volevo percorrere i più nascosti, quelli bordati da siepi, volevo passare tra i rovi del sottobosco, sulle piste tracciate dai solchi delle ruote tra due villaggi abbandonati […]. Lontano dalle grandi strade c’era una Francia ombrosa, al riparo dal rumore, risparmiata dalla pianificazione che è la profanazione del mistero. La campagna del silenzio, degli alberi di sorbo, delle civette e dei barbagianni. I dottori […] raccomandavano di rieducarsi. Rieducarsi? Bene. La prima cosa da fare era tagliare la corda» (p. 14).
Il lungo cammino per montagne, valli, boschi e paesi semiabbandonati – ora raccontato anche nel bel film Sur les chemins noirs, del 2023, in italiano A passo d’uomo, con Jean Dujardin – sortisce l’effetto sperato, perché, dopo una certa alternanza di momenti di entusiasmo e clamorose ricadute, la vita ricomincia a prendere possesso del corpo duramente provato. Ma quella dal centro di riabilitazione non è l’unica fuga messa in atto da Tesson. Ve n’è un’altra: una fuga interiore, una fuga dalla società contemporanea, dalla sua massificazione, dagli effetti sui singoli e sulle comunità della globalizzazione e, non da ultimo, una fuga dal dispositivo, cioè dalla rete delle nuove tecnologie che avvolge la nostra esistenza. In questo senso, non è azzardato paragonare il gesto di Tesson al “passaggio al bosco” teorizzato da Ernst Jünger nel Trattato del ribelle (1951). Darsi alla macchia, sottrarsi al flusso dei dati (meglio il flusso che sgorga dalle botti nelle cantine della Borgogna), diventare come gli chouan normanni cantati nell’Ottocento da Barbey d’Aurevilly, in guerra contro il vento della storia. Tesson, beninteso, non rifugge il consorzio umano. A volte un amico condivide con lui un tratto di strada. Altre volte si ferma a scambiare qualche parola con chi incontra nella Francia profonda, soprattutto con le personalità meno scontate, come l’eremita che accetta dai visitatori “pane secco e libri”, l’oste che mette in chiaro di offrire solo vino, ma niente wi-fi, la vecchia che cammina con un cesto di more lungo un muretto a secco: «ecco lo sguardo che cercavo, uno sguardo da contadina, duro e lucente di antichi saperi». La buona vecchietta lamenta l’afflusso di troppi fungaioli rumorosi e inesperti dalla città: «raccolgono tutto senza distinguere un porcino da un’amanita. Se mi mostrano il raccolto, io non dico niente. Che si avvelenino!» (pp. 54-55).
Viandante aperto al sacro e al mistero, l’Autore non è un pellegrino nel senso cristiano; non credente, gli è ben chiaro però il significato della fede cattolica nel dna di un francese, anche di un francese contemporaneo. Ammirato dai canti gregoriani che risuonano nell’abbazia romanica di Ganagobie o dall’apparire della vetta di Mont-Saint-Michel, si capisce tuttavia che è più commosso dal paesaggio circostante. Nonostante ciò, riflettendo sul gran numero di croci ed edicole votive che incontra lungo il cammino, pensa con sarcasmo ai «fanatici di Robespierre», quelli che auspicherebbero «una radicale laicizzazione» abbattendo tutto ciò che sta in piedi, pur non avendo nulla da mettere al suo posto (pp. 97-98). Nella raccolta di scritti che ha dedicato a Notre-Dame di Parigi dopo il rogo del 2019, Tesson si dichiara comunque un cristiano, per quanto un cattivo cristiano, e ad ogni pagina conferma la sua insofferenza verso un certo establishment politico-culturale francese che fa del laicismo una bandiera: «Nostra Signora non è rancorosa e non discrimina, dal momento che non è laica. Possa il sorriso della buona Vergine continuare a vegliare sugli uomini che credono in lei come su quelli che non le credono» (Notre-Dame de Paris. Ô reine de douleur ô reine de victoire, Paris 2024).
Nel frattempo, Tesson, pienamente (o quasi) ristabilito dopo il suo incidente, è partito per una nuova avventura, ancora inedita in Italia: un lungo viaggio in barca a vela e a piedi lungo il litorale di Bretagna, Inghilterra, Galles, Irlanda e Scozia. Il libro, pubblicato da Gallimard nel 2024 col titolo Avec les fées, è un’odissea celtica, come ha scritto Le Figaro, e una navigazione alla ricerca della bellezza, del mistero e del reincanto del mondo.