
Dino Buzzati ha lasciato nei suoi scritti un ritratto indelebile e intenso di Milano, città che nessuno come lui ha saputo raccontare con tanta passione e trasporto. Per questo motivo l’ultimo volume buzzatiano giunto in libreria e sugli scaffali della nostra biblioteca, Scusi, da che parte per piazza del Duomo?, appare al lettore come la variopinta tavolozza dalla quale lo scrittore-giornalista ha tolto le tinte e le sfumature che tratteggiano i nitidi colori e i contrasti della capitale morale. Il volume, curato magistralmente da Lorenzo Viganò, a sua volta giornalista e da anni studioso tra i più avvertiti ed esperti di cose buzzatiane, raccoglie un’ottantina di testi “milanesi”, la più parte finora inedita in volume, che seguono cronologicamente e fedelmente dal 1929 al 1971 gli sviluppi della città, con le inevitabili modifiche del tessuto urbano e civile di una metropoli tanto complessa ed esigente ma al contempo profondamente, visceralmente amata dall’autore del Deserto dei Tartari.
Buzzati dedicò alla sua città un vero e proprio poema, che è riprodotto nelle primissime pagine del libro: si tratta di un lungo testo in versi scritto originariamente nel 1965 per un volume oggi introvabile e cioè Milano di Giulia Pirelli con fotografie di Carlo Orsi. Ecco l’attacco, in cui Milano si presenta come una città fosca, da evitare, folta di contraddizioni, eppure piena di vita: «Guardatela se ne avete il coraggio / dall’alto da vicino da lontano / ma no non potete vederla / la copre il sudario delle caligini / solo in certi pomeriggi di maggio / e di ottobre anche, il vento del nord […] Pure fra queste desolate mura / si è verificata la vita mia. / Brutta fumigosa presuntuosa cafona / meravigliosa, come negarlo? / Smog smog smog, però / vita, coi suoi fetidi detriti, però vita».
Per Buzzati, Milano è la città del «Corriere della Sera» e della Scala, la città che lo ha visto crescere, la città dove ambienterà alcune fra le sue storie più note, dalla via Moscova sede del luogo di lavoro di Antonio Dorigo protagonista di Un amore, alla immaginaria via Saterna che collega corso Garibaldi con via Solferino (Poema a fumetti). In questi scritti il giornalista Buzzati si concentra su argomenti che possono apparire come un semplice, minuto resoconto del quotidiano, eppure si tratta di temi ai quali egli riesce a dare piena dignità di cronaca e, di più, ai quali sa conferire lo statuto di un oggetto di narrazione anche in chiave letteraria. Illustra così l’allargamento della rete tramviaria, che diventa anche occasione di vere e proprie gite verso la periferia per lo svago dei cittadini; annovera il mondo delle mosche al Museo di Storia Naturale; annuncia la scomparsa di quel «bar fra le nuvole» che era stato collocato sul tetto del Duomo – la cui fama «valicava gli oceani» – a dar ristoro a quanti si inerpicano fin lassù; ci racconta del pionieristico recupero dei rifiuti, vera formula di riciclo ante litteram. Magistrale è poi nella descrizione di quartieri o di specifici luoghi milanesi, come corso Buenos Aires («la Sciangai di Milano»), il ristorante Bagutta, la Fiera Campionaria dove sono impiegati «milanesi, nati a Milano, impastati di Milano» e che rappresenta per la città «una specie di notte di Natale».
Non mancano inoltre i riferimenti a usi e costumi dei milanesi, conditi anche da una mordace salsa ironica, come il caos del Problema dei parcheggi (quanto mai attuale), oppure il travaglio interiore di chi si trova davanti al semaforo rosso pronto a scattare all’apparire del verde, oppure ancora la beatitudine dell’uomo che ama lo smog. Si tratta quindi di testi in vario modo “di servizio”; tuttavia anche in questi Buzzati è riuscito a raccontare la città in modo straordinario, ponendo questa e i suoi abitanti in una prospettiva sempre capace di trovare un punto di vista originale e inedito.
Il volume è chiuso dai quattordici pezzi delle Piccole cronache del Duemila, usciti sul «Corriere» dall’11 ottobre al 6 dicembre 1966. Si tratta di un reportage basato su un espediente letterario davvero degno di Buzzati: chiamato a colloquio dal direttore del giornale, gli viene richiesto di farsi ibernare per poter essere risvegliato nell’anno Duemila e da lì passare in rassegna i cambiamenti in atto nel futuro. C’è da giurare che anche in questo caso ha saputo vedere lontano.

