Anche gli alberi cantano si intitola l’antologia poetica curata da Giovanni Tesio recentemente pubblicata per la casa editrice Interlinea. Un volume che consente di riscoprire tutti quegli elementi del mondo vegetale – piante, alberi, frutti e fiori – che sono stati “cantati” in poesia nel corso Novecento.
Non si tratta della formulazione di un’antologia completa, in quanto i riferimenti possibili sarebbero illimitati, bensì piuttosto del suggerimento di un possibile itinerario al lettore, che egli stesso potrà arricchire con ulteriori suggestioni testuali.
Trattando un argomento alquanto esplorato in ambito letterario, Giovanni Tesio ha sentito la necessità di restringere il campo alla sola poesia, circoscrivendo la scelta ai poeti che hanno costellato il “nostro” Novecento – fatta eccezione per i cipressi carducciani «alti e schietti» di gusto ottocentesco – lasciando però anche un piccolo spazio alle voci dialettali delle quali Tesio si è lungamente occupato.
Il risultato di questa accurata selezione è una raccolta di cento componimenti organizzati in ordine alfabetico di modo che, come suggerito dall’autore in una intervista a Cristina Converso, possa essere il lettore a scegliere un proprio ordine di lettura a piacimento. A sorpresa, in appendice, un sonetto sulle foglie composto dello stesso Tesio.
Questa rassegna testimonia la complessità dei modi attraverso cui si può narrare la vegetazione in poesia: sia che si tratti di un elemento naturalistico che si insinua nel paesaggio in modo rassicurante, diventando figura emblematica di un sentimento (come nel caso della poesia di Franco Arminio «L’amore può essere un giorno qualunque di ottobre, un giorno in un castagneto»), sia che diventi soggetto centrale del componimento, come nei Limoni di Eugenio Montale, frutti che assumono un connotato risolutivo e simbolico di una realtà nuda e aspra che il poeta intende raccontare nei suoi versi. Claudio Damiani prova a immaginare come possa essere la vita degli alberi, se eccessivamente statica e noiosa: «stare sempre lì / tutta la vita! Io non ci riuscirei mai! […] Non poter andare a vedere come è fatto il mondo!», o se in quell’immobilità ci possano essere solo vantaggi: «e non dover pensare […] / e non dover mangiare e non dover uccidere / ma prendere solo quello che viene dal cielo». Giuseppe Conte in un’ode amorosa alla sua Liguria la elogia nella sua bellezza contraddittoria: «come sei cruda, arida, inservibile / nella tua verticalità, che da millenni / costringe ad alzare muri e a subire / il barbaglio ripido del sole / alleato al tuo mare ventoso. / Come sai essere dolce, praticabile / con le discese lente dei tuoi giardini / […] le tue stazioni quasi parallele alle onde / sotto cupole di limoni e mandarini».
La natura delle piante è raccontata in ogni sua parte dalle radici alle foglie, dal fiore al frutto, in estate, in primavera, in autunno, suggerendo paesaggi marini, campestri, boschivi, proseguendo una tradizione letteraria che trova le sue origini agli albori della cultura classica e che si spera possa proseguire, in quanto, come ha ricordato Giovanni Tesio citando Henry David Thoreau, «ben poco si può sperare di una nazione che abbia esaurito la propria matrice vegetale».