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“La scatola onirica”: Cucchi cede ancora alla mania della parola

13 Novembre 2024
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La scatola onirica di Maurizio Cucchi è stata aperta: nell’agosto del 2024 e per la decima volta, Mondadori pubblica nella collezione “Lo Specchio” una raccolta del poeta milanese, confluenza di liriche inedite e testi già apparsi a stampa negli ultimi anni.

«Riuscì quasi a liberarsi dalle sue ossessioni, uscendo da un silenzio che ormai stava quasi impossessandosi di lui, retrocedendo, forse…»: è proprio così, camminando all’indietro, che il poeta ritorna alle sue origini topografiche – il quartiere di lignaggio Casa Cucchi, località in provincia di Pavia – ed esistenziali, le medesime che hanno sempre sostanziato la sua poesia. Fedele agli stessi maestri, ripropone in questa raccolta le poesie della plaquette L’orecchio assoluto dedicate a Giovanni Raboni e lo coinvolge in incastri di tessere citazionali, assieme a Umberto Saba, all’amatissimo Vittorio Sereni e, coerentemente, a sé stesso. In esergo alla quarta sezione della raccolta – La sventura d’inverno, traduzione di un poemetto francese di Rutebeuf – riappare proprio il poeta duecentesco, così come era stato immortalato nelle pagine de L’ultimo viaggio di Glenn (1999), «passeggiando come un santo».

Riemerge, inaspettato, un altro antichissimo personaggio-schermo: quel Sabatino della sezione Sfiorando l’afasia che era comparso per la prima volta in Paradossalmente e con affanno – prima opera pubblicata dall’autore, edita da Teograf nel 1971, da non confondere con l’omonima einaudiana del 2017 – quando ancora «si incorniciava tra snob e aristocratico» e aveva emesso solo due parole, «nulla» e «perduto». Oggi, il poeta stenta quasi a riconoscerlo «dopo tanto, tanto tempo», lo trova «davvero un po’ stranito» e toccato da un «affanno pervasivo», quella sua antica «mania della parola». Sabatino parla, e più parla e più si rende conto dell’infinita semanticità delle parole, di come esse lo trascinino per terrificanti spirali etimologiche fino ad «un passo da una semi afasia». La salvezza è ancora e sempre nella retrocessione, in una «ritrovata lingua bizzarra», fatta di parole «che credeva sconosciute», «mai, proprio mai, prima, pronunciate», ma solo «qua e là ascoltate e chissà quando / un po’ ovunque sparse nel suo territorio».

Se si ripensa alla sezione Disegni di Carta di Donna del gioco (1987), dedicata al pittore Enzo Carioti e composta per una sua mostra, allora L’immagine, la parola dedicata al critico Flavio Caroli non dovrebbe stupire. Ma lo fa. I ventidue componimenti di questa sezione de La scatola onirica sembrano un ideale museo mondiale che nelle sue sale abbraccia l’universalità delle espressioni artistiche, di fronte al quale si rimane, inevitabilmente, ammutoliti: da Lucio Fontana, spazialista argentino, al campione dell’Astrattismo statunitense, Mark Rothko, dal pittore surrealista irlandese, Francis Bacon, all’artista italiano, eclettico ed anticonformista, Pino Pascali – è qui che Cucchi insegna, servendosi della potenza dell’imperativo negativo già montaliano, con quali occhi bisogna guardare l’arte: «Non cerchiamo, amici, soluzioni / riduttive, univoci percorsi. Godiamo / della vista straniante dell’oggetto / assurdo e smisurato con l’ammirata / cautela dello spettatore onesto» – e così ancora artisti dai più disparati angoli del mondo, tra pittura, scultura e arti performative… 

Quella di Cucchi assomiglia alla scatola dei ricordi d’infanzia, piena di giocattoli consunti, foto in bianco e nero ingiallite, parole scritte su carta straccia con la grafia incerta di un bambino. Lo conosciamo nella settima ed ultima sezione, Mente Cielo Materia: è un «undicenne / sparuto, stordito, solitario», un bambino dagli «occhi / incupiti» e dalle «labbra / schiuse appena, tese, indurite». Questo bambino lo avevamo già visto – come dimenticarsene? – in una «ridicola foto di classe del ‘58», un «mite fanciullo franato», «non più sbarazzino né vestito con disinvolta cura», la voce narrante de La maschera ritratto (2011). Lo stesso oggi, cresciuto, auspica per i «fanciulli» come lui, «feriti» e «abbandonati», un domani dal volto non «sinistro, tremante e turbato / ma aperto al nuovo fiorire / al pieno fiorire serenità / di una adolescenza lieta».