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«Chiuso per noia»: l’ironia beffarda di Ennio Flaiano

18 Novembre 2025
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Prima ancora di scrivere per il cinema, collaborando al soggetto e alla sceneggiatura di alcuni dei film più belli del cinema italiano del dopoguerra – solo per citarne alcuni La dolce vita e Ennio Flaiano aveva cominciato scrivendo di cinema sulle pagine dei giornali. Su quella che è stata la sua attività di critico acuto e beffardo Adelphi ha recentemente pubblicato Chiuso per noia: un volume che raccoglie le recensioni cinematografiche da lui scritte tra il 1939 e il 1969.

Leggere Chiuso per noia è un po’ come assaporare trenta anni di storia, dal Fascismo[1] al boom economico dell’Italia, attraverso piccoli saggi critici che con forte ironia e disillusione ci insegnano che se il cinema negli anni può cambiare, a rimanere intatte e immutate sono le speranze umane. Flaiano, senza sconti e senza indugi, con un sarcasmo pungente e diretto, svela le falsità del Novecento italiano, costruito su perbenismo borghese e conformismo.

Molti film italiani che escono oggi alla luce portano bene impressi i segni della noia e dell’incertezza che furono proprie dei tempi in cui vennero concepiti. Nella primavera e nell’estate del ’43 la noia e l’incertezza toccarono il loro vertice soprattutto nel cinema italiano. Era la noia di continuare un lavoro a vuoto, ma molto redditizio, l’incertezza – o direi meglio l’attesa – per gli avvenimenti che avrebbero rinnovato l’aria e offerto nuovi motivi alle fantasie costrette nei noti limiti ministeriali. [29 aprile 1945]

La noia che dà il titolo alla raccolta e che ritorna costantemente nelle parole di Flaiano, è una condizione perenne dell’anima. Uno stato di torpore da cui provare a svegliarsi, ma che nonostante i tentativi fatti, porta sempre e comunque a cadere nella solita mediocre superficialità. L’epoca recensita da Flaiano ha visto la noia affermarsi come sentimento principale: venuti meno i valori tradizionali su cui si fondava la società si prova a cercare la profondità in un mondo costruito sulla legge dell’apparenza. È per provare a smaschera queste ipocrisie che Flaiano ha fatto dell’ironia l’arma tagliente e la cifra stilistica dei suoi scritti.

Mi domando spesso se il cinema sia ancora la fabbrica del brivido: in questi ultimi tempi, confesso, due volte mi sono addormentato nella poltrona di un cinema e non ero affatto stanco, ma soltanto annoiato. [..] Una volta andavo al cinema per sgranchirmi l’immaginazione e la visione morale del mondo. […] Il cinema era un tonico, risvegliava la fantasia e placava invece i desideri, dando l’illusione di averli soddisfatti. [23 marzo 1948]

Chiuso per noia dimostra che fino al secolo scorso era ancora possibile fare veramente critica cinematografica. Flaiano non aveva paura di cavarne inimicizie e antipatie, nei suoi scritti non guardava in faccia nessuno, o meglio guardava all’opera cinematografica e con sprezzante oggettività rivolgeva giudizi critici che si connotavano per una forte personalità. A colpire è la modernità della sua prosa: per nulla antiquata, ma limpida, chiara, pulita, tanto che, per la costruzione delle frasi, potrebbero sembrare articoli redatti al giorno d’oggi: «per scrivere un romanzo bisogna essere spinti dalla noia; per scrivere un romanzo come Via col vento la noia non basta, occorre quella fiduciosa caparbietà che soltanto certe signore posseggono». Mai scontato, ostinato e determinato senza troppi giri di parole, «Noi apparteniamo a quei pochi fortunati che non hanno avuto occasione di leggere Via col vento e siamo certi, dopo aver visto il film che ne è stato fatto, che nessuna forza umana potrà obbligarci a leggerlo». Le recensioni di Flaiano sono in grado di guardare dentro il film – ne abbozzano la trama, individuano i dettagli che ne fanno una possibile opera d’arte – ma vanno anche oltre il film stesso, riflettono sul rapporto tra finzione e realtà: «la magica illusione su cui si basa il cinema gli appare anche il suo limite principale».

C’è più di una ragione per leggere le pagine di questa raccolta: si può fare per amore o per nostalgia per i film del passato, per ascoltare la voce unica e inconfondibile di Ennio Flaiano, oppure per scoprire come alla fine il cinema sia sempre stato anche un pretesto per parlare di altro. E se durante il Fascismo scrivere di cinema era forse l’unico modo per esprimere velatamente il dissenso, dopo è diventato uno strumento di critica capace di svelare i vizi e le debolezze degli uomini.

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  1. Le recensioni scritte in questo periodo rappresentano per Flaiano un pretesto per far emergere attraverso i propri giudizi un sotterraneo dissenso al Regime. Cfr. p. 36 dove parlando della falsità e del manierismo che caratterizza i film del 1939 usa l’immagine di un pittore che, in assenza di soggetti per le sue opere, riproduce in malafede delle cartoline. La malafede del pittore è un velato riferimento alla malafede del Regime.