«Intermezzo svizzero»: ricordi di vita clandestina in un racconto di Concetto Marchesi
Nel febbraio 1944 Concetto Marchesi si trovava, inoperoso ed inquieto, a Loverciano, in Svizzera, ospite nella villa del vescovo di Lugano mons. Angelo Jelmini. In terra elvetica era stato accolto come perseguitato politico per le sue dichiarate posizioni antifasciste culminate nel proclama insurrezionale del 1° dicembre 1943 agli studenti dell’Università di Padova, di cui era rettore dal 1° settembre di quell’anno[1].

La clandestinità di Marchesi era iniziata all’inizio di dicembre 1943 a Milano, dove il suo antico allievo e compagno di azione partigiana Ezio Franceschini, professore di latino medioevale all’Università Cattolica di Milano e docente incaricato presso l’Università di Padova, gli aveva provvisto riparo, alloggio e documenti falsi intestati all’avvocato Antonio Martinelli. Successivamente, resasi palese l’incompatibilità della sua natura alla vita clandestina, su insistenza dei collaboratori più stretti il latinista catanese si decise per l’espatrio in Svizzera, con l’assenso della direzione del Partito Comunista a cui aderiva fino dalla fondazione nel 1921, ancora soccorso nel viaggio da Franceschini e da altri aderenti alla Resistenza dell’Università Cattolica.
Da Lugano, in costante contatto con la direzione del Partito, Marchesi svolse un’intensissima e proficua opera di collegamento tra i servizi informativi inglesi e il Comitato di Liberazione Nazionale al fine di ottenere dagli Alleati approvvigionamenti militari per i partigiani dell’Alta Italia, coadiuvato dai fratelli Giorgio e Wanda Diena, appartenenti ad una famiglia israelita di industriali padovani, fuggiti in Svizzera a causa delle leggi razziali.
In quei primi giorni di inattività a Loverciano Marchesi compose un racconto, La bisaccia di Cratete, che spedì a Milano: «Caro Ettore [nome di battaglia di Franceschini], ti prego di mettere questi fogli fra le mie carte. Li brucerò al ritorno. Sono poveri ricordi di giorni lontani e recenti: che ho buttati giù nelle ore oziose dell’ospizio di Loverciano. Ti abbraccio, Martinelli[2]».

Ma i fogli fortunatamente non vennero distrutti e i molteplici intrecci della storia furono recuperati successivamente da Marchesi in altri scritti. Il brano sul suo passaggio al confine fu ripreso in un discorso del 1950 alle autorità elvetiche, pubblicato nel 1951 nella raccolta Divagazioni con il titolo Intermezzo svizzero[3].
In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Marchesi, il giovane comandante Paride Brunetti (Bruno) della Brigata garibaldina Gramsci, incaricato della scorta nel percorso da Padova a Milano, ricordò il tumultuoso viaggio in treno e il primo pernottamento a Milano in un albergo semidiroccato dai bombardamenti, da lui trascorso in un giaciglio rabberciato nella vasca da bagno dell’unica stanza disponibile dell’ostello, in attesa del rientro del Maestro, imprudentemente occupato in liete conversazioni con alcune cantanti di avanspettacolo lì ospitate[4]. Altri elementi sulle strategie di trapasso del confine sono riferiti da Franceschini, che organizzò con acribia scientifica ogni tappa del passaggio dell’amico al varco di Maslianico[5].

Franceschini nel 1953 recensì con apprezzamento e affetto la raccolta Divagazioni per la rivista dell’Università Cattolica «Aevum», ma segnalò con la sicurezza del testimone diretto un errore nel testo di Intermezzo svizzero, «due volte ripetuto (p. 133 e p. 136)[6]». L’inesattezza stava nella data del trasferimento: «Non in una notte di febbraio del 1943 passò il Marchesi la frontiera italo-svizzera nei pressi di Maslianico; ma in una notte, e precisamente quella del giorno 9 del febbraio 1944: né la varcò come un perseguitato in cerca di scampo – anche se ormai il cerchio nazifascista stava per chiudersi intorno a lui – ma come un combattente che cambi fronte»[7].
Franceschini intendeva chiarire risolutamente l’equivoco provocabile dall’erronea anticipazione dell’espatrio di Marchesi: «non vorrei», osservava, «che qualcuno dei suoi avversari gridasse incautamente alla scoperta di un suo allontanamento dal campo della lotta prima ancora che la lotta avesse inizio», ovvero prima dell’Armistizio dell’8 settembre 1943[8].
Così si spiegano anche due postille, senz’altro di mano di Franceschini, che compaiono sulla copia di Divagazioni posseduta dalla Biblioteca della sede di Milano dell’Università Cattolica: a p. 133 una barra sul numero «3» dell’anno «1943» e a margine un’altra barra con un «4» sottolineato due volte; a p. 136 due lineette secche su «1943» e a lato «Notte del 9 febb 1944». Ma un dubbio sull’atteggiamento di Marchesi serpeggiava in realtà da tempo, e non già tra i suoi oppositori dichiarati, bensì nella stessa direzione del Partito Comunista, e riguardava il mantenimento del rettorato dell’Università di Padova dall’8 settembre al 28 novembre 1943, giudicato come atto di implicito riconoscimento, se non di accondiscendenza, nei confronti del governo illegittimo della Repubblica Sociale Italiana[9]. Franceschini, da parte cattolica, ne ebbe evidenza quasi trent’anni dopo dalle poche righe con cui Paolo Spriano circoscrisse l’opera partigiana di Marchesi in Svizzera nella sua monumentale Storia del Partito comunista italiano e dall’esplicita dichiarazione di Luigi Longo, per cui l’intellettuale di riferimento del Partito sarebbe stato «colpito da grave misura disciplinare» ed escluso da una lista di possibili ministri in vista di un’eventuale partecipazione dei comunisti al governo[10].
Una sospensione per presunta e mai dimostrata disobbedienza al Partito, quindi, che a Franceschini spiegava «molte cose» dei successivi rapporti tra la direzione del PCI e il suo maestro, ma su cui Marchesi, «forse perché tenne per sé l’amarezza della incomprensione» e certamente per integerrimo senso di fedeltà, preferì non dire o scrivere mai nulla[11].
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- Sull’opera nella Resistenza svolta da Concetto Marchesi in Svizzera dal febbraio al dicembre 1944 si veda: E. Franceschini, Concetto Marchesi dal 25 luglio 1943 al rifugio svizzero di Loverciano, «Aevum» 45 (1971), pp. 57-75; ried. in Id., Concetto Marchesi. Linee per l’interpretazione di un uomo inquieto, Antenore, Padova 1978, pp. 181-201, rist. in Id., Uomini liberi. Scritti sulla Resistenza, a cura di F. Minuto Peri, Piemme, Casale Monferrato 1993, pp. 51-72.
- Missiva riportata in Franceschini, Concetto Marchesi, op. cit., p. 66.
- C. Marchesi, Divagazioni, Neri Pozza, Venezia 1951, pp. 133-144.
- P. Brunetti, Con Marchesi da Padova a Milano in un rischioso viaggio, «Triangolo Rosso ANED» n. s. 24/1-2 (2008), pp. 30-32.
- E. Franceschini, Concetto Marchesi, op. cit., pp. 60-62.
- E. Franceschini, rec. di C. Marchesi, Divagazioni, «Aevum» 28 (1953), pp. 186-87. Nella prima stesura del racconto l’espatrio era collocato «In una sera di febbraio», senza indicazione dell’anno; edizione dei “fogli” del 1944: C. Marchesi, La bisaccia di Cratete, in E. Franceschini, Concetto Marchesi, op. cit., pp. 66-75.
- Ivi, p. 186.
- Ibidem.
- Se ne deduce che al centro del Partito non fossero risultate convincenti le motivazioni esposte dallo stesso Marchesi nell’“Appello agli studenti” del 1° dicembre 1943: «Sono rimasto a capo della vostra Università finché speravo di mantenerla immune dalla offesa fascista e dalla minaccia germanica; fino a che speravo di difendervi da servitù politiche e militari e di proteggere con la mia fede pubblicamente professata la vostra fede costretta al silenzio o al segreto». Discorso ripubblicato in E. Franceschini, Concetto Marchesi, op. cit., pp. 176-77.
- E. Franceschini, Concetto Marchesi, op. cit., pp. 31-32; 106: si citano P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, vol. V, Einaudi, Torino, 1975, p. 201; L. Longo, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Editori riuniti, Roma, 1974, pp. 14, 177-78.
- E. Franceschini, Concetto Marchesi, op. cit., pp. 32, 108.

