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«Il Conte di Montecristo»: storia editoriale di un romanzo d’appendice tra errori, tagli e censure

Vi sono esseri che hanno sofferto tanto, e che non solo non sono morti, ma hanno edificato una nuova fortuna sulla rovina di tutte le promesse di felicità che il cielo aveva loro fatte.

(A. Dumas, Il Conte di Montecristo)

Il Conte di Montecristo è indubbiamente uno dei romanzi classici più letti e conosciuti al mondo. L’incredibile vicenda di Edmond Dantès appassiona i lettori di ogni età da quasi tre secoli. Solo a partire dal 2010, ossia quando l’editore Donzelli ha dato alle stampe la versione restaurata dell’opera di Alexandre Dumas padre, il pubblico italiano ha potuto finalmente leggere il romanzo nella sua interezza, e in una veste nuova. Per molti anni, infatti, le edizioni che circolavano nel nostro Paese derivavano tutte, senza modifiche sostanziali, da una traduzione apparsa a fine Ottocento e mai più, fino a quel momento, aggiornata.

Ma procediamo con ordine. Il Conte di Montecristo fece la sua prima apparizione nel 1844, quando iniziò a essere pubblicato a puntate sul parigino “Journal des Débats”[1], la prima parte dal 28 agosto al 19 ottobre, la seconda dal 31 ottobre al 26 novembre, la terza e la quarta dal 20 giugno 1845 al 15 gennaio 1846, con uscite regolari salvo poche deroghe, dovute a motivi di stampa o a ritardi nella consegna del testo.

A. Dumas, Il conte di Monte-Cristo , Sonzogno, 1867 (prima edizione italiana illustrata)

La storia è ormai arcinota: nel 1815, in piena Restaurazione borbonica, Napoleone con la complicità di alcuni fedelissimi sta progettando la fuga dall’Isola d’Elba. Proprio in quei giorni, la storia dell’ex Imperatore si intreccia con quella del protagonista del romanzo di Dumas: il giovane e promettente marinaio marsigliese Edmond Dantès, che sta per essere elevato al rango di capitano, viene arrestato il giorno delle sue nozze con l’amata Mercédès, una giovane catalana, a causa di una serie di sfortunate circostanze abilmente sfruttate a loro beneficio da alcuni avversari privi di scrupoli. Dantès, di ritorno dal suo ultimo viaggio in mare, è latore di una missiva a lui affidata, ma di cui non conosce il contenuto, che dovrebbe essere consegnata a un bonapartista parigino. Tre persone molto vicine a Edmond, e che per diverse ragioni hanno interesse a togliere di mezzo il giovane marinaio, congiurano contro di lui. La prima è Danglars, lo scrivano della nave sulla quale sono entrambi imbarcati, che avendo assistito alla consegna della lettera ha l’idea di denunciarlo, poiché è invidioso della rapida carriera del collega; la seconda è Fernando Mondego, cugino di Mercédès e innamorato di lei, che coglie l’occasione propizia per eliminare il rivale; il terzo è Caderousse, un vicino di casa di Edmond, troppo ubriaco al momento del complotto per opporvisi efficacemente, e dunque complice suo malgrado.

Dopo la denuncia dei tre “amici”, Edmond Dantès viene arrestato. Il sostituto procuratore di Marsiglia, Gérard de Villefort, che sarebbe in un primo momento propenso a credere alle dichiarazioni di innocenza di Dantès – dopo aver letto il contenuto della lettera e aver così scoperto che il bonapartista destinatario della stessa altri non è che suo padre – per timore dello scandalo che avrebbe stroncato sul nascere la sua carriera di magistrato mette tutto a tacere e incrimina il marinaio per alto tradimento, facendolo imprigionare a vita e in isolamento nel Castello d’If, il carcere sull’isola di fronte a Marsiglia, dal quale è impossibile evadere. Dopo alcuni anni di prigionia, Edmond ha la ventura di conoscere il suo vicino di cella, l’Abate Faria, che da tempo sta scavando un tunnel per evadere.

Il primo incontro tra Dantès e Faria, in un’illustrazione di A. Dumas, Il conte di Monte-Cristo, Sonzogno, 1867

Negli anni successivi l’abate, uomo di grandissima cultura, trasmette il suo sapere al giovane amico, mettendolo anche a parte del suo progetto di evadere e recuperare un immenso tesoro nascosto da secoli sull’isola di Montecristo, nell’arcipelago toscano[2]. Quando Faria, alla vigilia della loro fuga, muore improvvisamente, Dantès ne approfitta per fuggire, sostituendosi alla sua salma, che secondo le consuetudini viene gettata in mare dalle guardie carcerarie. Raggiunta l’isola di Montecristo, e recuperato il tesoro seguendo le indicazioni ricevute, Edmond assume l’identità del Conte di Montecristo, gentiluomo coltissimo ed estremamente facoltoso di cui nessuno conosce il passato, oltre ad altre identità fittizie che interpreterà di volta in volta nel corso della storia con abili mascheramenti; darà così inizio alla sua terribile vendetta contro le persone che l’hanno tradito e che, grazie al loro delitto, si sono assicurati matrimoni vantaggiosi, posizioni di prestigio nella società e carriere di successo. Dopo essersi sapientemente insinuato nelle loro esistenze, li porterà alla rovina a uno a uno in una sorta di contrappasso dantesco.

Il romanzo ebbe un enorme successo: le copie del “Journal des Débats” andavano a ruba e i lettori attendevano con ansia la pubblicazione della puntata successiva[3]. Man mano che venivano pubblicate le puntate sulla rivista, veniva approntata l’edizione in volume delle parti già edite, prima che si fosse giunti all’ultima puntata. Le edizioni e le riedizioni si seguirono rapidissime in quei primi anni, sia in Francia che all’Estero. Tra le prime edizioni parigine ricordiamo quella di Pétion, del 1845, in dodici volumi, e quella di Lévy, del 1846, in sei tomi.

Nel nostro Paese, Il Conte di Montecristo in traduzione italiana apparve già nel 1846, pubblicato quasi in contemporanea a Livorno da Andrea Nanni, in quattro tomi, a Napoli da Caro Batelli e a Milano da Borroni & Scotti, in dieci volumi, editi tra il 1846 e il 1847. Sui primi cinque venne indicato come traduttore Jean Rossari, la cui indicazione di responsabilità scomparve a partire dal sesto volume. Sempre nel 1847, appena terminata la pubblicazione della loro prima edizione, Borroni & Scotti diedero alle stampe la seconda, questa volta con la traduzione di Oreste Ferrario. Nel 1869, sempre a Milano, Il Conte di Montecristo apparve nella famosa collana di Sonzogno intitolata Biblioteca Romantica. Questa traduzione anonima, ripresa poi nel 1899 dall’editore fiorentino Salani, continuò a circolare in Italia per più di un secolo.

Nel 1993 Claude Schopp, attualmente uno dei massimi esperti mondiali di Alexandre Dumas, curò in Francia un’edizione critica del testo, che uscì per l’editore parigino Robert Laffont. L’edizione fu condotta sulle pagine manoscritte originali ancora disponibili, nel tentativo di restituire una versione più fedele del testo dumasiano, districandosi tra tagli, censure ed errori che si erano stratificati nel corso dei secoli, e di darle una veste più moderna, senza snaturarne l’essenza di romanzo Ottocentesco[4].

In Italia, il testo ristabilito da Schopp fu pubblicato da Donzelli nel 2010 con la traduzione di Gaia Panfili. Finalmente anche il pubblico italiano poté leggere il romanzo di Dumas in una versione quanto più vicina possibile al testo originale e in una nuova traduzione, libera dagli arcaismi di fine Ottocento che avevano caratterizzato le edizioni fino ad allora disponibili, anche le più recenti.

Va infatti ricordato che, quando l’editore Donzelli si apprestava a dare alla luce la sua nuova edizione, conducendo delle ricerche sulle ultime versioni apparse (in particolare quelle edite tra gli anni Ottanta e gli anni Duemila da Mondadori e BUR), si era accorto che derivavano tutte da un’edizione Mondadori pubblicata nel 1984, che indicava come traduttore Emilio Franceschini. Proseguendo nelle ricerche, Donzelli giunse alla conclusione che questo fantomatico Emilio Franceschini non sarebbe mai esistito, poiché quella di cui sarebbe responsabile altro non è che la solita traduzione circolante in Italia dalla fine dell’Ottocento, e mai più modificata. Nel corso del secolo XIX, il romanzo aveva infatti subito tagli e censure di natura politica, e interi capitoli erano stati stravolti. Forte del suo successo soprattutto presso i ceti popolari, si temeva, infatti, che potesse essere portatore di idee sovversive[5]. Anche la censura ecclesiastica aveva esercitato il suo potere, e le opere di Dumas vennero messe all’Indice. Il testo modificato e censurato è poi circolato per secoli senza che nessuno si interessasse a ristabilirne una versione corretta e ciò soprattutto a motivo della nomea che circondava il genere del feuilleton, considerato, come abbiamo detto, di second’ordine[6].

Dopo l’edizione Donzelli sono state pubblicate altre traduzioni, sempre condotte sul testo ristabilito da Schopp: ricordiamo quella di Lanfranco Binni, edita nel 2011 da Garzanti, e quella di Margherita Botto, uscita nel 2014 con Einaudi. Prima di queste, solo la traduzione di Giovanni Ferrero del 1969, edita inizialmente da San Paolo e poi riproposta nel 2001 da Fabbri Editori, appare abbastanza fedele all’originale, anche se non condotta sull’edizione Schopp.

Come abbiamo visto, dunque, Il Conte di Montecristo è un’opera che affascina ancora oggi, non solo per l’intreccio, ma anche per le sue complicate vicende editoriali. Innumerevoli sono state le trasposizioni cinematografiche e televisive che, pur mostrando spesso sostanziali differenze rispetto al romanzo originale, restituiscono sempre e comunque intatti il desiderio di vendetta e l’intensità dei sentimenti del protagonista. Tra le più famose le interpretazioni di Edmond Dantès ricordiamo quelle di Andrea Giordana, nello sceneggiato RAI del 1966, di Richard Chamberlain nel 1975, di Gérard Dépardieu nel 1998, di Jim Caviezel nel 2002, per arrivare fino ai film recentissimi con Pierre Niney del 2024 e con Sam Claflin del 2025. Il conte di Montecristo ha inoltre ispirato anche opere teatrali, musical, manga, fumetti e graphic novel.

Tra le edizioni del capolavoro di Dumas possedute dalla Biblioteca della Sede di Milano dell’Università Cattolica ricordiamo: la seconda edizione milanese di Borroni & Scotti del 1847, l’edizione Sonzogno del 1867 (prima edizione italiana illustrata) e quella edita da Donzelli nel 2010, oltre a un’edizione pubblicata da Mondadori nel 2003, con la traduzione Franceschini.

Presso la Biblioteca del campus milanese sono inoltre custoditi altri due volumi interessanti: Il conte di Montecristo: azione mimica in tre parti … da prodursi sulle scene dell’I. R. Teatro alla Canobbiana nell’autunno 1856, realizzata del coreografo Giuseppe Rota, pubblicata a Milano dal tipografo Carpano nel 1856, e un autografo di Dumas, che recita “Offert par l’auteur / Dumas”, vergato nell’occhietto dell’edizione italiana della sua opera del 1863 Da Napoli a Roma. Nella Mediateca sono disponibili alcune delle trasposizioni televisive del romanzo: quella del 1975 con la regia di David Greene, interpretata Richard Chamberlain, quella di Josée Dayan del 1998 con Gérard Dépardieu e la serie animata giapponese prodotta dallo studio Gonzo con la regia di Mahiro Maeda, realizzata nel 2004.

BIBLIOGRAFIA

  • Claude Schopp, Umana e divina commedia. Prefazione all’edizione Donzelli, Roma 2010.
  • Mario Baudino, Il fantasma di Montecristo, in “La Stampa”, 24 giugno 2010.
  • Elisa Molinari, Edmond, Mercedes e gli altri. La fortuna italiana de Il Conte di Montecristo, catalogo della mostra bibliografica tenutasi presso l’Università Cattolica Sacro Cuore, Milano, 9-21 maggio 2011.
  • Martina Balestrieri, La censura nelle traduzioni italiane de Il Conte di Montecristo, tesi di laurea in Mediazione linguistica interculturale, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, anno accademico 2021/2022.
  • Roberto Randaccio, Quella buon’anima di Montecristo: vicissitudini deonomastiche di un eroe dumasiano, in “Rivista italiana di onomastica”, XIX (2013), 1.

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  1. Il Journal des Débats fu pubblicato ininterrottamente, con qualche modifica nel titolo, dal 1789 al 1944.
  2. Secondo quando raccontato dallo stesso Dumas, l’idea iniziale del romanzo gli venne nel 1842, quando si recò in visita presso l’Elba e le altre isole dell’Arcipelago toscano insieme al principe Napoleone Giuseppe Carlo Bonaparte, nipote di Napoleone I, in una sorta di pellegrinaggio nel luogo dove era stato esiliato il celebre zio. La visita all’isola di Montecristo, sulla quale aleggiavano da tempo le leggende relative a un misterioso tesoro che vi sarebbe stato sepolto secoli prima, contribuì ulteriormente a ispirare Dumas. L’opera avrebbe dovuto essere in un primo momento un memoriale di viaggio, ma il romanzo prese una diversa direzione quando Dumas lesse le vicende, realmente accadute, del ciabattino Pierre Picaud, che nel 1807, alla vigilia del matrimonio, venne accusato da tre amici invidiosi di essere una spia al soldo degli Inglesi. Imprigionato nel Forte di Fenestrelle, e scarcerato dopo alcuni anni, dopo aver recuperato un tesoro cominciò a mettere in pratica la sua vendetta. A differenza di quella di Edmond Dantès, però, la vicenda si concluse male per Picaud, che venne ucciso da una delle persone di cui voleva vendicarsi. Le avventure di Pierre Picaud furono narrate da Jacques Peuchet, archivista della prefettura francese, nel capitolo intitolato Le diamant et la vengeance all’interno dei suoi Mémoires tirés des archives de la police de Paris, pubblicati nel 1838.
  3. Il Conte di Montecristo è ascrivibile al genere letterario del feuilleton, ossia un romanzo popolare, le cui caratteristiche sono la narrazione di eventi rocamboleschi, densi di colpi di scena e di forti passioni, con l’intento di catturare l’attenzione di un pubblico di massa, non particolarmente colto e dunque privo di grandi pretese letterarie. Affermatosi soprattutto in Francia a partire dalla metà del XIX secolo, è chiamato anche “romanzo d’appendice, proprio perché appariva solitamente su rivista, a puntate, nella parte finale della pubblicazione, da cui il nome con cui è solitamente noto in Italia. Queste opere furono a lungo denigrate dalla critica per la bassa qualità letteraria, dato che erano testi pubblicati con l’evidente intento di sostenere la rivista su cui apparivano, incrementandone le vendite. Proprio per questo motivo, erano solitamente romanzi molto prolissi, dovendo prolungarsi per un cospicuo numero di uscite, e con trame (soprattutto nelle opere di seconda categoria) al limite del farraginoso e con una quantità incredibile di personaggi e vicende. Questo genere di letteratura ad un certo punto si svincolò dalla pubblicazione su rivista, continuando comunque a chiamarsi narrativa d’appendice. Tra i più celebri feuilleton francesi annoveriamo, oltre a Il Conte di Montecristo, I tre moschettieri, sempre di Dumas padre, e Il Capitan Fracassa, di Théophile Gautier. In area britannica, un celebre romanzo d’appendice è La freccia nera, di Robert Louis Stevenson, mentre in Italia la saga di Sandokan, di Emilio Salgari. Solo recentemente la narrativa d’appendice è stata rivalutata dalla critica.
  4. In una nota all’edizione francese da lui curata, Claude Schopp afferma che il romanzo, «scritto sotto la pressione dell’urgenza, […] fu abbandonato ai direttori di feuilleton letterari e ai proti delle tipografie; la versione del feuilleton fu ripresa dai librai-editori, generalmente senza che Dumas la rileggesse». Il risultato è stato che «da un’edizione all’altra, gli errori di lettura del manoscritto si sono riprodotti, introducendo mille e una aberrazioni». Schopp continua poi così: «il ricorso al manoscritto […] sarebbe la regola aurea da seguire per una nuova edizione. Ma Dumas, nella sua incontenibile generosità, ha posto un ostacolo pressoché insormontabile a questa volontà di ristabilire il testo: ha distribuito, volume dopo volume, a misura degli amici e degli ammiratori del momento, i grandi fogli dei manoscritti, i quali hanno avuto dunque, per ciascun volume, un destino particolare». Il controllo sul manoscritto è stato perciò possibile solo per le parti autografe effettivamente reperite. Il confronto tra queste ultime e le versioni a stampa «ha messo in luce le molteplici imperfezioni tipografiche: frasi, capoversi, o persino capitoli omessi o tagliati, nomi storpiati, correzioni che tradiscono il pensiero di Dumas, standardizzazioni dello stile, censure…».
  5. Tra le censure più evidenti nella versione ottocentesca, ne ricordiamo due: il fatto che l’abate Faria venga presentato come un uomo di scienza, e non si faccia alcun accenno al fatto che si tratti di un religioso, così come venga soppresso ogni riferimento al desiderio dell’abate circa l’unificazione dell’Italia; l’eliminazione dell’equiparazione del personaggio Montecristo a un dieu, un dio, artefice delle mirabolanti azioni di cui è protagonista, termine ritenuto troppo forte.
  6. Lo stesso Umberto Eco raccontava di aver iniziato a occuparsi di una nuova traduzione dell’opera, su richiesta dell’editore Einaudi. Eco apprezzava la vicenda di Montecristo, ma ne aborriva lo stile, a suo giudizio troppo ripetitivo e farraginoso. L’impresa venne poi abbandonata quando lo scrittore si rese conto che quello era lo stile proprio del romanzo, e modificandolo lo avrebbe snaturato.