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La caduta del Duce: in Biblioteca il manoscritto dell’Ordine del giorno Grandi

Poche settimane fa è andata in onda su Rai 1 La lunga notte – La caduta del Duce, fiction dedicata alle vicende che portarono alla deposizione di Benito Mussolini nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943, durante l’ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo.
Protagonista di quello che è passato alla storia come l’“Ordine del giorno Grandi” è l’omonimo gerarca Dino Grandi, stretto collaboratore di Benito Mussolini per tutto il corso del ventennio fascista, dapprima come ministro degli Affari esteri, poi come ministro di Grazia e Giustizia e da ultimo presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni.

L’opera televisiva descrive le settimane precedenti a quella fatidica notte in cui il Duce perse il potere: sono i primi giorni del luglio del ’43, in cui gli Alleati dopo la conquista di Pantelleria sono ormai prossimi allo sbarco in Sicilia, mentre la situazione politica in Italia è fortemente in bilico. Lo stesso Vittorio Emanuele III, di fronte all’imminente sbarco anglo-americano sulla Penisola, consiglia Dino Grandi di convocare il Gran Consiglio – organo supremo del Partito Nazionale Fascista, fondato nel 1922 ma che non si riuniva ormai da quattro anni – per togliere la fiducia a Mussolini e riportare la guida dell’Italia nelle mani del Re. Il Duce risponde con ostilità all’iniziativa di Grandi, successivamente però decide lui stesso di accettare la convocazione per smascherare tutti i traditori: «Il Duce ha convocato il Gran Consiglio per sabato 24 alle ore 17»[1].
Da questo momento inizia l’elaborazione di un “colpo di stato” che coinvolge da un lato gli ambienti monarchici, dall’altro alcuni gerarchi fascisti. Casa Savoia è divisa: da un lato la regina Maria Josè del Belgio sta conducendo un accordo segreto che prevede una pace separata con gli Alleati, ma di questa iniziativa sono all’oscuro sia il principe consorte Umberto II sia lo stesso Vittorio Emanuele III. Grandi, in parallelo all’elaborazione del testo per l’ordine del giorno, deve interpellare insieme ai colleghi Luigi Federzoni e Giuseppe Bottai i membri del Gran Consiglio, per sondarne gli orientamenti e cercare di ottenerne almeno in parola il voto per la maggioranza. 

Il Duce nei suoi ultimi giorni appare stanco e provato, è rimasto ormai l’unico a credere che l’Italia possa ancora effettivamente vincere la guerra: nell’incontro di Feltre con Hitler, avvenuto il 19 luglio del 1943, è visibilmente debole di fronte agli attacchi verbali del Fuhrer.
La situazione si fa ogni giorno sempre più complicata: gli Alleati arrivano a bombardare Roma, cuore della nazione, la sfiducia e la paura sono ormai largamente diffuse.
Si arriva dunque a sabato 24 luglio, il giorno della riunione del Gran Consiglio: Grandi ha precedentemente informato il Duce della sua proposta, poiché non vuole che sia una congiura, ma uno scontro alla luce del sole: «io non intendevo congiurare contro Mussolini, bensì lottare apertamente in Gran Consiglio per ottenere da esso l’approvazione del mio Ordine del giorno, e, conseguentemente, la fine della dittatura»[2].
Tra le righe scritte di proprio pugno da Grandi è possibile ancora oggi cogliere la drammaticità del momento, decisivo per le sorti dell’Italia:

Il Gran Consiglio, riunendosi in questi giorni di supremo cimento […] esaminata la situazione interna ed internazionale e la condotta politica e militare della guerra, proclama il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l’unità, l’indipendenza, la libertà della Patria, […] afferma la necessità dell’unione morale e materiale di tutti gli italiani in quest’ora grave e decisiva per i destini della nazione; dichiara che a tale scopo è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statali e costituzionali; invita il Capo del Governo a pregare la Maestà del Re, verso la quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché egli voglia, per l’onore e per la salvezza della Patria, assumere, con l’effettivo comando delle forze armate di terra, di mare e dell’aria, secondo l’articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state, in tutta la storia nazionale, il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.
“Ordine del giorno” autografo di Dino Grandi per il Gran Consiglio del Fascismo del 24 luglio 1943 (particolare)

La Biblioteca di Milano dell’Università Cattolica ha la fortuna di custodire il manoscritto autografo di Dino Grandi contenente il testo preparato per essere presentato dal gerarca al Gran Consiglio. Il documento fa parte del Fondo Gianfranco Bianchi (1915-1992) in cui sono custodite le carte del docente che in Cattolica insegnò Storia contemporanea e Storia del giornalismo, e che proprio grazie alla raccolta di documenti ufficiali, in anni complicatissimi come furono quelli del secondo Dopoguerra, riuscì a svolgere un immenso lavoro di ricostruzione di quanto accaduto durante il ventennio fascista. La seduta del Gran Consiglio andò avanti a lungo, la situazione fu più volte in bilico, tanto che Grandi ammise a distanza di tempo di aver portato con sé due bombe a mano per paura che la situazione potesse precipitare da un momento all’altro. In effetti Mussolini, messo al corrente dallo stesso Grandi del contenuto del suo ordine del giorno, aveva intenzione di punire con la violenza i “traditori”, ma quella notte i fatti presero un’altra direzione. Al momento delle votazioni, i 28 membri furono chiamati ad esprimersi per appello nominale: 19 furono i voti a favore, 8 contrari, 1 astenuto.

Al termine di una drammatica seduta, il Gran Consiglio del Fascismo approvava quindi a maggioranza la mozione del gerarca Dino Grandi, togliendo la fiducia a Mussolini e invitando il Re a riassumere le sue funzioni. Il giorno successivo, Mussolini si recò a Villa Savoia sicuro che il sovrano fosse ancora dalla sua parte, ma Vittorio Emanuele III invece lo informò della sua decisione di voler formare un nuovo governo, con a capo il maresciallo Pietro Badoglio. Con la scusa di tutelarne la sicurezza personale da possibili reazioni popolari nei suoi confronti, il Duce venne arrestato e condotto, all’interno di una autombulanza militare, in una caserma.
Era la caduta del Fascismo, ma non la fine della guerra che, come annunciato la sera stessa dai comunicati ufficiali, continuava ad oltranza: l’Italia stava per conoscere un’altra tristissima parte della propria storia, era ormai quasi l’inizio della guerra civile.

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  1. G. Bianchi, Perché e come cadde il Fascismo. 25 luglio 1943: crollo di un regime, Mursia, 1963, p. 419.
  2. Ivi, 420.

* In alto: folla a Milano dopo la notizia della caduta di Mussolini (foto da Wikipedia).