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Una lettera di Pier Paolo Pasolini dal Fondo Luciano Codignola

Sono trascorsi cinquanta anni dalla scomparsa di Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, regista, sceneggiatore e drammaturgo: una personalità poliedrica e un intellettuale autentico, acuto osservatore dei cambiamenti della società italiana del suo tempo. Furono, forse, proprio queste qualità a indurre Luciano Codignola a invitarlo presso le industrie Olivetti. All’interno del polo di Ivrea era infatti stato istituito un centro culturale guidato dal 1952 al 1962 proprio da Codignola. Erano, quelli, tempi in cui gli operai e gli impiegati potevano incontrare personalità del calibro di Gassman, Piovene, Moravia, De Filippo e tanti altri. Alla base di questa iniziativa d’avanguardia era la convinzione che la cultura fosse uno strumento di crescita personale e di emancipazione sociale anche per le categorie sociali più povere o che meno di altre avevano potuto giovarsi di un accesso diretto alla cultura.

Così in una giornata dell’inverno del 1957, Pasolini tenne una conferenza a Ivrea. Di questo avvenimento resta una importante testimonianza: una lettera datata 29 gennaio 1957 firmata dall’autore delle Poesie a Casarsa e ritrovata nel Fondo Codignola custodito dalla Biblioteca dell’Università Cattolica di Milano. Tale fondo archivistico è pervenuto all’Ateneo nel 2021, in seguito alla donazione del fondo librario Codignola-Bo (giunto già nel 2015).

Codignola oltre che direttore del polo culturale di Ivrea è stato anche autore, sceneggiatore, drammaturgo e critico teatrale. Nelle carte del Fondo resta traccia della sua carriera di scrittore teatrale, come testimoniano i dattiloscritti contenenti appunti di critica e le bozze di alcune sceneggiature.

Nella lettera, scritta probabilmente dopo la visita a Ivrea, Pasolini gli si rivolge con tono amichevole: «Caro Codignola, grazie per le lettere, l’assegno e la macchina, che sto aspettando con impazienza: voglio inaugurarla con il libro che devo inviare a Garzanti». Probabilmente il romanzo a cui allude Pasolini è Una vita violenta, consegnato all’editore Garzanti nel marzo del 1959; mentre Ragazzi di vita era già stato precedentemente spedito nel 1955. 
Lo scrittore cita anche Paolo Volponi – entrato a lavorare in Olivetti a partire dal 1956 – sottolineando come per lui «Roma potrebbe essere una perdita». Volponi, probabilmente, in quegli anni aveva ricevuto una proposta di lavoro per trasferirsi nella capitale. Pasolini è però convinto del ruolo centrale che in quel momento Ivrea aveva assunto all’interno del panorama culturale e sociale italiano, al punto da affermare:

Ivrea non è affatto ai margini, è uno dei centri dove più pienamente è possibile fare esperienza della nostra storia.

L’utopia che Adriano Olivetti aveva prima pensato e poi realizzato nella città piemontese nasceva dall’idea di una grande fabbrica a misura d’uomo, dove intorno all’edifico principale si sviluppassero una serie di strutture pensate per il benessere dei dipendenti. Olivetti aveva compreso come l’offerta di alcuni servizi a tutti i lavoratori (dai dirigenti agli operai) fosse il modo migliore per farli vivere e lavorare al meglio. Fu così che, più che una fabbrica, fiorì una vera e propria esperienza di comunità che si articolava sul territorio di Ivrea attraverso una serie di edifici progettati dai grandi architetti di quel tempo: un asilo nido, una mensa aziendale, un circolo ricreativo, case per famiglie numerose.

Nella giornata trascorsa a Ivrea, Pasolini non aveva perso l’occasione di offrire a Codignola la possibilità di firmare un intervento per la sua “Officina”, la rivista letteraria nata nella primavera del 1955 dal sodalizio letterario tra Francesco Leonetti, Roberto Roversi e lo stesso Pasolini. “Officina” si caratterizzava per la ricchezza e la molteplicità degli interventi, uniti ad una certa dose di eclettismo. Dall’intervento dei vari contributi emergeva l’impegno nel voler dare una nuova definizione di poesia, che scaturisse dall’idea di cultura come forza motrice per il rinnovamento della società. “Officina” chiuse ufficialmente i battenti nel maggio del 1959, ma già quegli anni, come sottolineava Pasolini, non dovevano essere tempi semplici per la rivista bolognese: «che sta passando brutti momenti finanziari, ma che eroicamente resisterà».
Quella del 1957 fu la prima visita di Pasolini a Ivrea che vi tornerà poi nel 1966 e nel 1971 a testimonianza di come il polo Olivetti continuasse anche negli anni successivi ad applicare la propria “utopia” di una cultura come pane quotidiano per i propri lavoratori.

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Nelle foto, una versione della macchina da scrivere Olivetti Lettera 22, del medesimo tipo che lo stesso Pasolini utilizzò per stendere i suoi scritti.