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La produzione di “Quo vadis?” in un documento del Fondo Bagliani

Tra le carte di Remigio Paone (un nutrito nucleo archivistico custodito all’interno del Fondo Mario Bagliani, acquisito dalla Biblioteca d’Ateneo nel 2022), è contenuta una lettera dattiloscritta su carta intestata del Circo Nazionale Togni.

La missiva appare immediatamente di interesse sia per la decorazione della carta, raffigurante un tendone da circo in inchiostro blu, con una grande città sullo sfondo, e la scritta “Circo Nazionale Togni”, sia per la singolarità dell’argomento trattato. Datata 7 aprile 1950, reca la firma del dottor Maraldi, all’epoca amministratore e tesoriere dell’E.N.C.I. (Ente Nazionale Circhi Italiani)[1], e fu inviata a Roma alla sede centrale italiana della celebre casa di produzione Metro Goldwyn Mayer (MGM)[2].

Maraldi, in risposta ad una richiesta pervenuta due giorni prima, rende noto di avere a disposizione quattordici leoni, di cui otto esemplari femmine e sei maschi. Specifica che gli animali potranno essere presi in prestito dalla MGM per un minimo di un mese e che la tariffa giornaliera – comprensiva delle strutture per il trasporto degli stessi (una gabbia e tre furgoni illuminati), del personale addetto alla loro cura (un domatore, personale di governo e di assistenza alle gabbie), del vitto delle belve e del viaggio dal luogo in cui si troverà il circo al momento della partenza degli animali fino allo scalo ferroviario di Roma – sarebbe stata di un milione e seicentomila lire.

In aggiunta a questi animali, Maraldi informa che vi sono altri sei leoni maschi che potrebbero essere prestati, ma che per questi si dovrebbe pagare una tariffa a parte di un milione di lire al giorno, oltre al risarcimento del danno causato dal fatto di dover sottrarre gli animali agli spettacoli in cui sono impegnati. Si sollecita, quindi, una risposta via telegrafo in tempi brevi.

Ma per quale motivo la MGM aveva bisogno di tutti questi leoni? All’occhio del cinefilo attento non sarà sfuggito che il 1950 fu una data importante per la settima arte. Nella primavera di quell’anno, infatti, a Roma iniziarono le riprese di uno dei più grandi colossal cinematografici di tutte le epoche, Quo vadis?, tratto dall’omonimo romanzo del polacco Henryk Sienkiewicz (1846-1916)[3].

La realizzazione di Quo vadis? ebbe una vicenda piuttosto lunga e travagliata. Già alla fine degli anni Trenta, la MGM aveva acquistato dai figli di Sienkiewicz i diritti per la realizzazione del film, con l’intenzione di girarlo in Italia, ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale aveva comportato dapprima il rallentamento e infine la sospensione del progetto. Solo dopo la fine del conflitto l’idea venne pian piano riconsiderata, fino alla firma del contratto con gli studi di Cinecittà.

Nel periodo che precedette l’avvio delle riprese vi furono, inoltre, rinunce ed avvicendamenti nel cast e nella direzione artistica: i ruoli dei due protagonisti, Marco Vinicio e Licia, che avrebbero dovuto essere interpretati, in un primo momento, da Gregory Peck e da Elizabeth Taylor, vennero assegnati a Robert Taylor e a Deborah Kerr[4], mentre Mervin LeRoy rimpiazzò alla regia John Huston, che se ne era andato per alcuni disaccordi con la produzione.

Un articolo del “Corriere della Sera”, datato anch’esso 7 aprile 1950, a firma di Gino Visentini, riporta una dettagliata relazione di una visita presso gli studi di Cinecittà, dove i preparativi per le riprese del film erano ormai in pieno svolgimento. Il giornalista riferisce di aver assistito all’incontro, in uno degli uffici, tra un alto dirigente della MGM e un altro americano, un tipo molto originale[5], relativo alla questione dei leoni da recuperare per il film. Visentini racconta poi di aver fatto un lungo giro per Cinecittà, dove centinaia di muratori, artigiani e carpentieri stavano lavorando alacremente per ricostruire nei minimi dettagli gli ambienti dell’antica Roma, tra i quali il palazzo imperiale di Nerone, le case patrizie come quella di Petronio, il Circo Massimo e infine la Suburra, ossia la Roma plebea.

Dopo questa lunga fase di preparazione, in cui, oltre ai set, vennero realizzati artigianalmente dalle maestranze italiane migliaia di oggetti, monili e suppellettili e la produzione ottenne, dall’Amministrazione cittadina il permesso di restaurare a proprie spese una porzione della Via Appia, teatro di alcune scene del film, le riprese ebbero finalmente inizio il 22 maggio 1950, e durarono oltre un anno.

Grazie ad una ricerca nell’Archivio del “Corriere della Sera”, apprendiamo parecchie curiosità relative alla realizzazione di Quo vadis?: nell’estate del 1950 un’ondata di caldo eccezionale, abbattutasi su Roma, rendeva il lavoro difficoltoso e tormentava sia gli attori che gli animali. Così si dovettero trovare degli stratagemmi per risolvere alcuni problemi causati da questa situazione, come l’idea di foderare di sughero e ghiaccio secco l’elmo di Marco Vinicio, per dare un po’ di frescura a Robert Taylor, e l’espediente di imbottire di carne alcuni costumi di scena, quando i leoni non volevano uscire allo scoperto nell’arena infuocata, e ritornavano nelle gabbie. Durante le riprese vi furono poi alcuni incidenti sul set: il crollo di un’impalcatura e il ferimento di alcune comparse, un toro che si abbatté sulla telecamera, diversi episodi di insolazione a causa del grande caldo.

Uscito nelle sale cinematografiche americane negli ultimi mesi del 1951[6], il film ricevette ben otto canditure agli Oscar dell’anno successivo, ma non ne vinse nessuno. Peter Ustinov conquistò il Golden Globe 1952 per il ruolo di attore non protagonista, grazie alla sua celeberrima interpretazione di Nerone, rimasta ineguagliata nella storia del cinema.

Quo vadis? fu la pellicola dei record: fu il primo film in technicolor girato in Italia, costò sei milioni di dollari dell’epoca, diventando il film più costoso mai realizzato fino a quel momento (surclassando il già dispendioso Via col vento, del 1939), e ancora oggi detiene il guinness del più alto numero di costumi di scena realizzati, circa trentaduemila.

Il film inaugurò una fase aurea per la storia di Cinecittà, il cosiddetto periodo della “Hollywood sul Tevere”, dando il via ad una serie di colossal girati negli studi romani, come Ben Hur (1959) e Cleopatra (1963). Le grandi produzioni americane di quegli anni diedero indubbiamente un contributo al risollevamento dell’economia della nostra capitale, anche grazie all’indotto creato dalla macchina organizzativa, come ad esempio la necessità di trovare ogni volta migliaia di comparse[7].

La scelta di girare a Roma fu sicuramente determinata dalla presenza di manodopera qualificata, seppure a basso costo, ma anche dal fascino che poteva esercitare sul pubblico straniero la Città Eterna[8].

Gli straordinari incassi al botteghino compensarono ampiamente le spese, ed evitarono alla MGM il fallimento. Ancora oggi Quo vadis? è un classico che si rivede sempre con piacere.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

  • G. Visentini, Costerà 4000 milioni il “Quo Vadis?” americano, “Corriere d’Informazione”, 7-8 aprile 1950, p. 3.
  • A. Lanocita, Seimila romani antichi diranno “Ave Caesar”, “Corriere della Sera”, 14 maggio 1950, p. 3.
  • Per “Quo Vadis?” rinasce la Roma di Nerone, “Corriere d’Informazione”, 17-18 maggio 1950, p. 4.
  • G. Visentini, Qualche cosa di sospetto biancheggia sulla via Appia, “Corriere d’Informazione”, 3-4 luglio 1950, p. 3.
  • Quattro comparse all’ospedale per il crollo di un’impalcatura, “Corriere d’Informazione”, 24-25 luglio 1950, p. 2.
  • A. Ceretto, C’è il ghiaccio nell’elmo di un antico romano, “Corriere d’Informazione”, 24-25 agosto 1950, p. 3.
  • Un toro contro la macchina da presa, “Corriere d’Informazione”, 5-6 settembre 1950, p. 2.
  • S. Abbot, Animals, Too, Are Movie Stars: Quo Vadis Teems with Lions, Horses, Other Rare Stock Scouted by George W. Emerson thru Europe, “Billboard Magazine”, 7 aprile 1951, p. 52, 60.
  • E. Palmiri, La storia dell’Ente Circhi che quasi nessuno conosce, in Circo.it.
  • “Quo Vadis”, in Classicmoviehub.com.

____________________

  1. L’E.N.C.I. era sorto nel 1948, su iniziativa di Ercole Togni, con l’intento di riunire gli artisti circensi in una propria associazione, separata rispetto a quella dei giostrai.
  2. La MGM, celeberrima casa di produzione cinematografica americana, nata nel 1924 dall’unione della Metro Pictures, della Goldwyn Pictures e della Louis B. Mayer Pictures, ha compiuto il 17 aprile scorso i cento anni di vita. Oggi è di proprietà del gruppo Amazon.
  3. Pubblicato nel 1906, Quo vadis? narra le vicende di Licia, una giovane cristiana, e di Marco Vinicio, patrizio romano, sotto il regno di Nerone, durante il periodo più aspro delle persecuzioni religiose da parte dell’Impero nei confronti dei cristiani, che culminarono con il celebre incendio di Roma del 64 d.C.
  4. Clarke Gable aveva rifiutato il ruolo di Marco Vinicio poiché temeva di apparire ridicolo in abiti da antico romano.  Audrey Hepburn aveva fatto il provino per il ruolo di Licia, poi affidato alla Kerr. I nostri attori Sophia Loren e Carlo Pedersoli (Bud Spencer), che stavano allora muovendo i primi passi nel mondo del cinema, ebbero un ruolo come comparse, rispettivamente nei panni di una schiava e di una guardia imperiale.
  5. Si tratta, molto probabilmente, di George W. Emerson, capo addestratore degli animali per la MGM, che tra il 1949 e il 1950 percorse in lungo e in largo l’Europa e il Nord Africa setacciando zoo e circhi alla ricerca di tutti gli animali (leoni, leopardi, cavalli, tori, elefanti) necessari per le riprese di Quo vadis. Non fu un compito facile, e come si evince dalla lettera posseduta dalla Biblioteca d’Ateneo, a poche settimane dall’inizio delle riprese la MGM era ancora alla ricerca degli ultimi leoni.
  6. Nelle sale cinematografiche italiane sarà distribuito solo a partire dal 1953.
  7. Le comparse di Quo vadis erano pagate tremilatrecento lire al giorno per quattro mesi di riprese, una cifra notevole in una nazione che doveva risollevarsi dopo il conflitto.
  8. L’accattivante slogan pubblicitario di Quo vadis recitava “Three Years in the Making! Thousands in the Cast! Filmed in Rome!”, sottolineando proprio gli aspetti di eccezionalità del film: la cura maniacale dei dettagli che ne aveva allungato ad oltranza la produzione, il numero smisurato di interpreti, e le riprese avvenute proprio nella città sede degli eventi narrati.