Alcune impressioni di viaggio dal Fondo librario Gilberto Gilberti
La Biblioteca della sede di Milano dell’Università Cattolica ha recentemente ricevuto in donazione una cospicua raccolta di libri appartenuti a Gilberto Gilberti, considerato da molti specialisti della disciplina uno dei massimi esperti della questione palestinese in Italia. Una volta completata l’attività di catalogazione, questi volumi saranno resi fruibili a tutti gli studiosi di storia contemporanea e in particolare a quanti intendano approfondire le tematiche politiche e sociali del Medio Oriente. La ricchezza e la varietà dei contenuti proposti dalla Biblioteca di Gilberti permettono di tracciare, anche in anteprima, molteplici itinerari di lettura, è il caso, ad esempio, di alcuni libri dedicati alle “impressioni di viaggio”.

Fa parte di questa selezione il volume Viaggio in Palestina di Anthony Trollope (1815-1882), uno dei più celebri scrittori inglesi dell’età vittoriana. Trollope era un impiegato delle Poste britanniche per questo motivo era solito intraprendere numerose peregrinazioni in giro per il mondo, come nel caso del viaggio in Palestina: «le circostanze mi portarono in Terra Santa senza un compagno di viaggio, così mi ritrovai a visitare Betania, il Monte degli Ulivi e la Chiesa del Sepolcro da solo. […] Il mattino dopo avrei iniziato il viaggio molto presto, naturalmente a cavallo, dirigendomi verso il Mar Morto, le rive del Giordano, Gerico e le montagne del deserto, dove si ritiene che il nostro Salvatore abbia vagato per quaranta giorni resistendo alle tentazioni di Satana. Sarei poi tornato alla Città Santa, dove intendevo restare solo il tempo necessario per fare riposare il cavallo e ripulire mani e piedi dalla polvere. Sarei quindi ripartito alla volta di Jaffa, e lì avrei preso un piroscafo austriaco, che mi avrebbe portato in Egitto».
Queste le parole d’apertura del diario ma, quello che doveva essere un normale resoconto di viaggio in solitaria alla scoperta della Terra Santa, si rivela un avvincente e sorprendente racconto dal finale inaspettato. Trollope infatti, nella narrazione in prima persona appellatosi come Jones, incontra sul suo cammino un misterioso compagno d’avventura: un tale di nome John Smith. Il percorso a cavallo nel deserto è avvincente: la veduta di Gerusalemme dall’alto delle pendici delle colline, lo spettacolo delle montagne del Moab avvistate all’orizzonte, l’incontro con i numerosi pellegrini e il bagno nel Mar Morto dove l’assenza di onde o correnti insidiose lascia tutto sospeso in una strana immobilità. Il viaggio prosegue sino al rientro nella cittadina di Jaffa dove le strade dei due viaggiatori si separeranno per sempre non prima però di scoprire chi si celi veramente dietro la falsa identità di John Smith.

Il secondo volume su cui ci soffermiamo in questa prima ispezione del Fondo, si intitola Sul treno per Haifa di Gabriele Tergit (1894-1982), raffinata intellettuale della scena politica berlinese degli anni Trenta, di origini ebraiche che, con l’ascesa del Nazismo, fu costretta ad abbandonare la Germania per emigrare in Palestina. L’autrice, spinta dalle impressioni quotidiane suscitate dalla scoperta di quella terra per lei sconosciuta, scrive una serie di reportage che poi confluirono su riviste e quotidiani internazionali.
La narrazione prende avvio dal racconto della traversata del 1933 alla volta della Palestina, al tempo sotto il mandato politico britannico. Dopo una breve descrizione del clima e del paesaggio, l’autrice propone un approfondimento sulla città di Gerusalemme. Il viaggio prosegue alla scoperta della baia di Haifa e di Tel Aviv: «nel 1909 alcuni ebrei di Giaffa fondarono un sobborgo in mezzo alla sabbia sterile e lo chiamarono Tel Aviv […] una città senza tradizioni, una città edificata dai molti profughi, dai molti poveri», l’autrice racconta di come nel 1933 i giudizi in tutto il paese su questa città fossero fortemente contrastanti. Segue il resoconto di una gita a Betlemme e al Mar Morto dove «non crescono piante, non vivono pesci né girini né alghe, nulla; è morto, pieno di fosforo, di sale e di zolfo. Sul fondo – dice la Bibbia – giacciono Sodoma e Gomorra, città popolose distrutte appunto dal sale e dallo zolfo».
Quelle raccolte da Gabriele Tergit sono impressioni di viaggio che descrivono la terra di Israele nel periodo di tempo compreso tra il 1933 e il 1938. Il linguaggio giornalistico da lei adottato rende il racconto fortemente distaccato, privo di commenti personali e orientato piuttosto ad annotazioni paesaggistiche e alla descrizione di situazione quotidiane. Come sottolineato da Palma Severi nell’introduzione al volume, ciò che emerge è la capacità di Gabriele Tergit di registrare con il suo reportage «il clima esaltante e fattivo della costruzione di una patria ebraica nella Palestina dei primi insediamenti dei coloni europei» ma, allo stesso tempo, si percepisce la dolorosa sensazione di esclusione che l’autrice avvertiva nei confronti di questo processo. Motivo per cui la giornalista deciderà dopo il 1938 di fare ritorno in Europa: ovviamente non più a Berlino, città ormai impraticabile per gli Ebrei, ma a Londra; le sue radici con l’ebraismo bimillenario sembrano ormai per sempre spezzate e, a prevalere, è la sua identità europea.

Il terzo volume Palestina. Impressioni di viaggio è un’opera del 1925 di Artur Rundt e Richard A. Bermann, due giornalisti che ad un certo punto delle loro carriere furono attivi soprattutto come scrittori di viaggio. A differenza delle prime due opere citate, che compaiono nel fondo Gilberti come ripubblicazioni più recenti, quest’ultimo volume è una prima edizione. Il viaggio comincia da Giaffa e da Tel Aviv, di quest’ultima compare una foto che ritrae una via residenziale con alcune persone in primo piano. Segue un capitolo dedicato alla “vita sociale”: una riflessione sulla storia del popolo ebraico come popolo in costante migrazione. Si procede così alla volta di Gerusalemme, dove l’impressione dei viaggiatori alla vista della città dei santuari è di un “malessere solenne”: «è magnifica quando sei al di fuori, sopra un monte od una torre […] allora è la città più bella del mondo. Quando invece ci sei dentro e pensi a lei, a questa maestà della sua vecchiezza, a questi numerosi santuari, al mistero inesprimibile delle sue tombe […] tutto ciò […] è angusto e meschino». Il viaggio in Palestina passa attraverso Caifa (Haifa), Nazareth, Gerico, le rive del Giordano fino alla Galilea.
I tre libri citati sono testimonianze che permettono di tracciare itinerari non solo geografici, ma anche temporali, che attraversano la storia e la geografia della Palestina dall’Ottocento sino agli anni immediatamente precedenti alla Seconda guerra mondiale. Attraverso gli occhi di viaggiatori diversi, in momenti storici differenti e con generi letterari che vanno dal reportage al romanzo si entra in contatto con la società, la cultura e la storia bimillenaria di questa terra crocevia di cultura e di culture.
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* In alto: Iehudah Halewoy Street di Tel Aviv, da A. Rundt, R.A. Bermann, Palestina. Impressioni di viaggio, Firenze, Casa editrice “Israel”, 1925, p. 9.