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1. L’infanzia: Genova e il trasferimento a Milano

«Si dice che l’infanzia diventi mito nella nostra memoria […] ma, per quanto mi riguarda, non credo che le cose stiano così. Se intendiamo il mito come leggenda, la storia della mia infanzia è invece costituita da persone vere, avvenimenti reali. Certo, le proporzioni sono diverse, gli spazi spesso deformati […] gli avvenimenti un po’ sfumati […]. Ma ho molta memoria, e i miei ricordi risalgono sino ai primi mesi di vita».

Franco Loi nacque a Genova il 21 gennaio 1930 al n. 18 di Via della Pantera. Fra le strade di quel rione accoccolato tra le colline di San Fruttuoso il poeta trascorse la sua primissima infanzia.

Fu lì, dal monte dei Camaldoli che contemplò per la prima volta «un cielo che toccava il cielo», imprimendo così nella sua memoria il ricordo gioioso della vista del mare, dello «stormire delle foglie» e della «lucentezza dei girasoli». La Genova di Loi è «un sogno infantile» di paesaggi collinari e marini, di incontri e di persone, di esperienze e suggestioni che il poeta fu però costretto ad abbandonare all’età di sette anni.

Nel 1937 infatti, al padre venne proposto di diventare direttore dello Scalo merci di Milano Smistamento.

Loi giunse alla Stazione centrale di Milano in un giorno d’autunno e, come ebbe a raccontare in diverse occasioni, ad accoglierlo «c’era una nebbia che non si vedeva a un palmo di naso».

In questo periodo la famiglia Loi cambia residenza molto spesso: dopo un primo periodo in una casa di ringhiera di Via Cardano, ci fu il trasferimento in piazza Bottini vicino alla stazione di Lambrate, ma anche questo non durò a lungo, perché il padre decise poco dopo di stabilirsi in una cascina a Limito, una frazione di Pioltello. Nel 1939 avvenne il passaggio in Via Teodosio, che divenne il vero centro irraggiante della fantasia e della memoria di Loi.

Racconta il poeta: «lì ho vissuto la seconda infanzia e la giovinezza, i primi innamoramenti, la guerra, i giorni della liberazione e della ricostruzione della città. Fu 19 in Via Teodosio che divenni milanese». Sono anni di vita tranquilla, i bambini possono giocare liberi nelle vie della città che diventa il campo spensierato della loro fantasia.

«Di solito per amore verso un luogo, un paese o una città, s’intende il tipo di attaccamento alle strade, alle case, ai ricordi cui si accompagna quella strana malattia che viene chiamata “orgoglio del luogo dove sono nato” o “amore per le radici”. Io invece non soffro la nostalgia, e mi piace ribadirlo. Penso, al contrario, che sia l’uomo a dare identità ai luoghi – e infatti io, ovunque vada, amo incontrare gli uomini, più che vedere musei, palazzi, monumenti. Forse perché ho cambiato tanti luoghi, forse perché così varia è la mia ascendenza, o a causa della mia preferenza per le persone, o per la consapevolezza di quanto mi hanno dato luoghi che ho visto una sola volta, o che ho solo immaginato dai libri o dalle storie altrui… L’amore nasce comunque dall’uomo e, qualche volta, tra gli uomini».