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Giovanni Testori negli archivi culturali della Biblioteca di Milano

21 Dicembre 2023
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«Adesso, quando scriveva, si trovava le mani impiastrate di nero, proprio come se disegnasse»[1]: Giovanni Testori, come l’alter-ego del suo romanzo La cattedrale qui citato, è stato quella figura d’artista del Novecento capace di declinare il suo talento in più forme, esprimendo quindi la propria arte attraverso una naturale tendenza nel superare i confini tra i linguaggi espressivi. Una personalità complessa che porta nella propria figura le stimmate dell’«artista moderno» – come scriveva di lui Pietro Citati[2] – in quanto in grado di manifestare il suo fatale bisogno di andare oltre attraverso la costruzione nelle proprie opere di un destino tragico.

L’anno appena conclusosi, in cui ricorreva il centenario dalla nascita di Testori (1923-1993), ha visto numerosi eventi in suo onore come, da ultimo, il convegno Giovanni Testori arte, scrittura e teatro organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, Casa Testori e dall’Associazione Giovanni Testori. Le tre giornate, svoltesi il 14 e il 15 dicembre presso la sede milanese dell’Ateneo e il 16 presso Casa Testori a Novate Milanese, grazie all’intervento di numerosi relatori hanno proposto un quadro complessivo della vita e dell’operato della sua poliedrica attività artistica: poeta, pittore, drammaturgo, giornalista e critico.

Proprio della sua produzione critica è rimasta traccia anche presso gli archivi culturali della Biblioteca di Milano dell’Università Cattolica, attraverso una recensione al Puccini di Enzo Siciliano pubblicato da Rizzoli nel 1976. In questo scritto, rimasto inedito, Testori prepone alla recensione una considerazione letteraria sul genere biografico: «esistono infinite strade, vie, stradine, sentieri e fin mulattiere per progettare una “Biografia”; esistono, naturalmente, e oggi sono molto in uso, comodissime e larghissime autostrade». Lo scrittore prosegue, sottolineando come esistano due modi di realizzare biografie: il primo che presenta uno sguardo verso l’alto, «diciamo verso la luce del sole»; e il secondo, invece, verso il basso, «verso la non-luce della notte e delle tenebre»: il primo, definito da un lucido e critico distacco capace di «mettere le griglie alla passione», mentre il secondo contrassegnato da una «efferata pulsione erotica che prende il biografo nel confronti del biografato» per l’irrefrenabile bisogno di «fondersi con l’oggetto odio-amato». Testori non si era mai cimentato nell’attività di biografo, pertanto si chiama per primo in causa affermando che in tal caso – per sua stessa natura – sarebbe stato fatalmente trascinato «a questa seconda, capovolta e notturna progettazione».
Era il 1977 quando Testori scriveva tali considerazioni. Destinata al settimanale “Tempo” diretto da Carlo Gregoretti, questa recensione doveva segnare l’avvio della collaborazione dello scrittore di Novate Milanese con quella testata: l’articolo però non venne mai pubblicato perché “Tempo” stava ormai cessando le pubblicazioni.

Curiosa è anche la storia di un altro autografo di Testori: si tratta di una breve lettera, datata febbraio 1962 e inviata a Rolando Pieraccini, contenente in allegato una bozza manoscritta di una pagina dell’Arialda. Pieraccini, destinatario della lettera, è stato nel corso della sua lunga vita un editore e un ricercatore, ma soprattutto un instancabile collezionista, che oltre ad accumulare quadri, libri, fotografie, disegni e opere grafiche, custodiva un’immensa raccolta di autografi (se ne annoverano infatti migliaia tra lettere e manoscritti). Era solito scrivere ad autori per ricevere un loro abbozzo o scritto autografo, e così fece anche con Testori, che infatti rispose nella lettera «spero che la pagina che le mando (la prima de L’Arialda) sarà nella sua raccolta […]». La pagina manoscritta è un caratteristico esempio del vasto utilizzo di correzioni e cancellature con cui Testori era solito creare le sue opere.

Altre interessanti tracce testoriane sono presenti nell’Archivio Giorgio Mascherpa: al suo interno vi è una cospicua raccolta di articoli giornalistici che avevano per oggetto Testori, o anche firmati da Testori stesso, soprattutto recensioni di natura artistica e culturale che lo scrittore aveva elaborato nel suo lungo sodalizio con il “Corriere della Sera”. Tra queste carte personali del giornalista e critico d’arte cremonese spicca una lettera datata 15 febbraio 1976, in cui Testori lo ringrazia «per la bellissima recensione al “Romanino-Moretto”» e prosegue accennando alle varie esposizioni nelle quali in seguito sarebbe stato impegnato, in particolare la personale dell’artista svizzero Willy Varlin presso la Rotonda della Besana, di cui era curatore: nella lettera, confida peraltro a Mascherpa come la prefazione da lui scritta per l’occasione sia «forse la cosa più libera e scatenata che, nel campo critico, abbia fatto».

Per conoscere più direttamente l’arte di Testori possono inoltre risultare utili due cataloghi, anch’essi conservati negli archivi culturali della Biblioteca di Milano: quello per la sua mostra alla Galerie Alexandre Iolas, con un’interessante prefazione di Pietro Citati intitolata Il colore del delitto e della gloria, che mette in luce il disperato desiderio dell’autore di conoscere il peccato, la dannazione, il rimorso e il delirio; e il catalogo per la sua mostra alla Galleria Galatea di Torino tra il novembre e il dicembre 1971, con dipinti che «mostrano quanto siano […] costretti, l’uno all’altro, i modi della sua espressione artistica»[3].

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  1. G. Testori, La cattedrale, in Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, 1997, p. 1074.
  2. P. Citati, Il colore del delitto e della gloria in catalogo Galerie Alexandre Iolas, Milano, senza data.
  3. L. Carluccio, Introduzione al catalogo per la mostra di Giovanni Testori presso la Galleria Galatea di Torino, 1971.