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Sereni, Rebora, Erba e gli altri: settant’anni di Linea lombarda

30 Maggio 2023
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Lo scorso 25 maggio si è tenuta presso la cripta dell’aula magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano una giornata di studi in onore dei settant’anni dalla pubblicazione dell’antologia Linea lombarda[1] curata da Luciano Anceschi, noto critico e docente di estetica dell’Università di Bologna.
La giornata ha visto la partecipazione di docenti e personalità del mondo della cultura e dell’accademia, attraverso i cui contributi si è cercato di formulare un immaginario complessivo di questo particolare momento letterario.

È il 1952 quando Anceschi elabora all’interno della sua antologia l’ipotesi di una comunanza di affinità elettive nelle tematiche, nell’ambientazioni e nell’indole di certi autori del Novecento, il cui massimo comun denominatore era di fatto rappresentato da una provenienza altresì definibile “lombarda”. È lo stesso Anceschi nella prefazione a sottolineare come il proposito della sua raccolta sia nato in modo del tutto «occasionale», «di gioco», una faccenda «di piogge, di laghi»[2]. In una temporalesca domenica di maggio, in contemplazione di una verdeggiante distesa di alberi, è il paesaggio lombardo a suggerire ad Anceschi che tra Vittorio SereniRoberto ReboraGiorgio OrelliNelo RisiRenzo Modesti e Luciano Erba possa esistere una poetica condivisa vicina agli oggetti e al paesaggio fatta di cose dimesse e quotidiane. Dopo gli anni Cinquanta il concetto di “linea lombarda” assume anche un significato di carattere strettamente critico e diventa una categoria letteraria largamente utilizzata per definire la scrittura di alcuni poeti.

Analizzare i settant’anni dalla nascita di questa corrente può risultare un’impresa ardua, in quanto molti di questi autori non si sono ritrovati nella categorizzazione di Anceschi, tanto che nel corso della giornata di studi si è tentato prima di tutto di tracciare e delimitare l’origine e i confini di una questione ancora dibattuta. Su questo è intervenuto Paolo Giovannetti, mentre Francesca D’Alessandro, ha riflettuto sul “vessillo” lombardo di Sereni come di un’invenzione pseudocritica ingombrante.
Successivamente si è tentato di stabilire quali siano stati gli sviluppi e le considerazioni critiche elaborate a proposito dell’antologia anceschiana dopo l’anno 1952. Sull’argomento sono intervenuti Piero De Marchi che ha disquisito della poetica di Giorgio Orelli; Giovanna Ioli che ha parlato dell’ultimo Risi; Roberto Cicala ha invece riflettuto su Luciano Erba e gli oggetti lombardi in uso e disuso nella sua poetica; Lucia Geremia ha proposto un intervento su Roberto Rebora e il suo netto rifiuto di riconoscersi all’interno della linea tracciata da Anceschi. In conclusione, Paolo Senna e Francesca Mazzotta sono intervenuti sulle voci della Linea lombarda considerate minori: Renzo Modesti e Piera Badoni.

Grazie al patrimonio librario e agli archivi culturali della Biblioteca di Milano dell’Università Cattolica, è stato possibile allestire una mostra bibliografica che accompagnasse la giornata di studi. Tra le opere esposte, sono senz’altro da segnalare moltissime prime edizioni come le antologie Linea lombarda, curata da Anceschi, e Quarta generazione, uscita a cura di Piero Chiara e Luciano Erba, nonché esemplari autografati dello stesso Luciano Erba (Linea K, Guanda 1951), di Vittorio Sereni (Diario d’Algeria, Vallecchi 1947; Gli strumenti umani, Einaudi 1965); di Roberto Rebora (Parole cose, Scheiwiller 1987) e di Renzo Modesti (Due di briscola, Ed. Magenta 1954). A completare la mostra, alcune lettere, foto e cartoline appartenute ai protagonisti di quella felice stagione letteraria.

Quello dei settant’anni dalla nascita della Linea lombarda è stato un anniversario importante: la giornata di studi ha dimostrato come sull’argomento ci sia ancora tanto da discutere e approfondire. Una tematica irrisolta che, nonostante i vari rifiuti di categorizzazione, permette di continuare a proporre riflessioni su una grande generazione di poeti.

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  1. Linea lombarda, a cura di L. Anceschi, Ed. Magenta 1952.
  2. Ivi, p. 5.