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“Banditi” e “Repubblichini”: la Resistenza tra guerra civile e guerra di liberazione

«La guerra civile, che insanguinò l’Italia e intorbidò le coscienze di tanti italiani, noi non la volemmo […] noi la subimmo; dovemmo accettarla e combatterla, combatterla con animo angustiato e col cuore oppresso, perché così dovevamo agire, ed era grave sofferenza rivolgere le armi contro italiani, anche se indegni, o illusi, pur sempre figli della stessa patria»[1].
Con queste parole il 25 aprile 1955, in piazza Duomo a Milano, il presidente del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia) Alfredo Pizzoni ricordava la Resistenza nel decennale dalla Liberazione.

L’aggettivo “civile” con cui Pizzoni connotò quella guerra sottolineava quanto la Resistenza – oltre ad essere un movimento di liberazione nazionale dagli invasori tedeschi – fu  anzitutto una guerra interna fra italiani partigiani e italiani fascisti della Repubblica Sociale Italiana (più comunemente nota come Repubblica di Salò).
Il dibattito storiografico sulla questione è, come noto, molto ampio. A titolo esemplare lo storico Claudio Pavone, nel suo saggio del 1991 Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza[2], ha elaborato un contributo di considerevole interesse in quanto ha introdotto in ambito accademico la denominazione di “guerra civile” per gli anni 1943-1945, fino ad allora ignorata o comunque limitata quasi esclusivamente alle correnti di pensiero neofasciste.
«Un paese come l’Italia, […], ha tutto da guadagnare a rivendicare, come tavola di fondazione di una propria rinnovata identità, il momento di verità rappresentato dalla guerra civile fra fascisti e antifascisti»[3]. D’altronde anche un altro grande storico come Piero Gobetti aveva già definito nel corso degli anni Venti il Fascismo come l’«autobiografia della nazione italiana»[4], una sorta di male necessario che l’Italia doveva patire a causa della tardiva unità nazionale e soprattutto a causa della mancata consapevolezza e limitata partecipazione del popolo italiano alla formazione della propria patria. Prosegue Pavone nel suo saggio: «Era una resa dei conti relativa non solo al lungo conflitto cominciato nel 1919, ma al modo stesso di intendere l’essere italiani»[5].

Presso gli archivi culturali della Biblioteca di Milano dell’Università Cattolica, all’interno del Fondo Gianfranco Bianchi sono conservati documenti che permettono di attestare un bilancio parziale dei tragici numeri della guerra civile e anche di immaginare visivamente come doveva apparire quell’Italia divisa, smembrata, frastagliata dalle lotte interne fratricide.
Gli uffici del Comando generale della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) – forza armata istituita dalla Repubblica Sociale Italiana con compiti di polizia interna e militare – elaboravano mensilmente un resoconto statistico che indicava e confrontava sia il numero di caduti e feriti interni alla GNR, cioè i fascisti, sia il numero di “banditi”, ovvero i partigiani, catturati, arrestati, fermati e uccisi. Un rendiconto dettagliato e analitico, realizzato regione per regione (Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto, Venezia Giulia, Toscana) e provincia per provincia.

Nonostante la GNR avesse principalmente il compito di garantire l’ordine pubblico, essa operava soprattutto per reprimere le forze segrete della Resistenza partigiana.
Un cartogramma datato «I quindicina di Marzo XXIII°», datazione fascista corrispondente al marzo del 1945, offre una riproduzione dell’Italia settentrionale da un punto di vista interno della lotta civile. Era il delicato momento della Seconda guerra mondiale che anticipava di lì a poco l’imminente “Liberazione”. Dopo lo sfondamento della “Linea Gustav,” avvenuto nel maggio del 1944 – che aveva portato i Tedeschi a ritirarsi a Nord sulla “Linea Gotica” tra Rimini e La Spezia – gli Alleati si trovavano nella posizione migliore per sferrare di lì a poco la loro nuova offensiva nella primavera del 1945[6].
La mappa si presenta come una raffigurazione dell’odierna Italia settentrionale con un ingrandimento specifico nell’area nord-ovest, dalla quale erano escluse Trento e Trieste[7]; una netta linea rossa al di sopra di Ravenna, Pistoia e Lucca, ma sottostante l’Apuania, demarca la zona territoriale della Repubblica di Salò. In questa rappresentazione lo stivale italiano a cui normalmente siamo abituati compare privato del suo tacco e della sua punta, limitato esclusivamente alla parte finale del gambale. Con un lavoro attento e meticoloso l’ufficio statistico del Comando generale del CNR rappresentava sulla cartina quale era la “Situazione delle bande”, ovvero la forza approssimativa dei gruppi partigiani indicata per numero di combattenti: da quelle con una forza superiore a 1000 elementi fino a quella con forza inferiore a 100 elementi, si tratteggiava inoltre la specifica zona di attività delle bande regione per regione, provincia per provincia.

I documenti storici appena descritti sono fonti di indubbia rilevanza per un’oggettiva ricostruzione dei fatti. Gli eventi che si susseguirono in Italia dopo l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943 resero estremamente complessa la possibilità di narrare i fatti da un unico punto di vista, divenne necessario quindi scindere analiticamente il campo d’azione di ciascun protagonista, come ad esempio quello delle principali “forze” di opposizione: i Tedeschi, gli Alleati, i “repubblichini” e i partigiani; coloro che fecero sì che all’interno di un’unica grande guerra si intrecciassero tanti tipi di guerra differente.
Il Fondo Gianfranco Bianchi, in virtù della ricchezza e della vastità dei documenti custoditi, si conferma una raccolta di notevole interesse per ricostruire le complicate vicende vissute dagli italiani negli anni del Fascismo, della guerra e della Resistenza.

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  1. G. Di Capua, Resistenzialismo versus Resistenza, Rubbettino, 2005, pp. 14-15.
  2. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, 1994.
  3. C. Pavone, La Resistenza oggi: problema storiografico e problema civile, in Dizionario della Resistenza, a cura di E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, II, Einaudi, 2001, p. 707.
  4. P. Gobetti, L’autobiografia della Nazione, a cura di C. Panizza, Aras, 2023.
  5. C. Pavone, L’eredità della guerra civile e il nuovo quadro istituzionale in Lezioni sull’Italia Repubblicana, Donzelli, 1994, p. 9.
  6. B.H. Liddell Hart, Storia militare della Seconda guerra mondiale: gli eserciti, i fronti e le battaglie, Mondadori, 2012, p. 936.
  7. Trieste e Trento rientravano rispettivamente nel piano d’operazione OZAK (Zona d’operazioni del Litorale adriatico) e OZAV (Zona d’operazioni delle Prealpi): formalmente erano parte della Repubblica Sociale Italiana, ma de facto erano controllate direttamente dalla Germania nazista.