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7. L’angel, il poema della vita

Franco Loi compone la prima parte de L’angel in dialetto milanese tra l’agosto e il settembre del 1972, subito dopo aver concluso Teater (Einaudi, 1978).

Tuttavia il poeta aveva iniziato a immaginare un’opera di vasto respiro fin dagli anni della giovinezza:

«In diversi momenti dei miei ventanni ho pensato a un romanzo epistolare che avesse a protagonista un “tipico italiano”» (Attorno a “L’angel”).

L’embrione di ciò che sarebbe diventato in anni maturi il suo poema più noto ha quindi le sue origini ben a fondo nell’esperienza interiore e umana di Loi, che già in quel tempo lontano prefigurava l’immagine di un “eroe” (o, meglio, di un antieroe) segnato dalla nevrosi; una nevrosi resa più acuta dallo smacco di una «sconfitta idealistica», quale fu quella vissuta dagli italiani con gli anni del fascismo e della guerra.

Piano piano, l’immagine di questo «eroe del nostro tempo» prende forma assumendo i connotati di una «specie di cattolico e insieme dannunziano-comunista» che si crede un angelo, alimenta dentro di sé una supposta memoria del paradiso e vive felice.

Quando però ha l’occasione di comunicare agli altri di essere – o di sentirsi – un angelo, chi gli sta attorno inizia a osservarlo con distacco e con una certa preoccupazione, finché viene rinchiuso in manicomio.

I medici lo sottopongono ad analisi e a un intensivo percorso di «riedificazione psicologica», al fine di curarlo e di poterlo riammettere nel consesso sociale, cancellando l’idea di Dio e del Paradiso e convincendolo che non si tratta altro che di una forma di patologia, originata dai momenti felici dell’infanzia, da lui erroneamente trasfigurati come «nostalgia dell’assoluto» o dell’«infinito».

Ed è a questo punto che ha inizio il libro, con il ricordo indistinto del Paradiso che si interseca con reminiscenze del passato e con allucinazioni, momenti dell’esperienza ospedaliera frammisti a brandelli d’adolescenza. Il protagonista viene così integrato nella società e partecipa alla vita culturale e politica dal dopoguerra fino agli anni settanta, passando per entusiasmi e disincanti, finché la caduta di ogni speranza lo spinge a tentare di togliersi la vita. Ma anche questo atto non gli riesce per una serie di circostanze casuali come lo sciopero del gas o l’arrivo del postino.

Così rimette in discussione le teorie dei “dottoroni” che lo hanno preso in cura e «accettando l’irrazionale come facente parte dell’esistenza» torna a credere in Dio e ad avere fiducia negli uomini.

L’angel nella sua parabola poematica si presenta come il grande racconto dell’alienazione dell’uomo contemporaneo che, dopo aver attraversato la caduta della guerra e il crollo della fede ideologica, ricostruisce se stesso riconoscendosi creatura e trovando così il proprio posto nel mondo, dando voce ai conflitti e alle speranze dell’uomo contemporaneo.

La prima parte dell’Angel uscì nel 1981 per San Marco dei Giustiniani e fa uso oltre che del milanese anche del dialetto genovese e di quelli colornese (da Colorno, in provincia di Parma) e romanesco. Uscito poi in edizione aumentata per Mondadori nel 1994, L’angel venne accompagnato da una nota di Cesare Segre, che lo definiva «una specie di autobiografia trasformata in visione».